La lettera del titolare è solo una reazione scomposta (e, personalmente, credo sia un autogol) nel momento in cui ha compreso che le cose si mettevano male, avendo lei acquisito consapevolezza nel voler far valere il diritto ad essere inquadrato secondo le mansioni effettivamente svolte.
Sorprende solo la circostanza che lei non si sia preparato all’azione giudiziale presso il Tribunale del lavoro, sperando, forse troppo ingenuamente, che l’azienda avrebbe dato seguito alle sue legittime aspettative senza batter ciglio.
Ora deve raccogliere la documentazione scritta di cui è in possesso e che risulta probare la sua domanda e cercare, se possibile, chi è disposto a testimoniare in suo favore, anche se realisticamente, è c’è da comprendere un simile atteggiamento, non troverà chi sia disposto a farlo.
Poi, deve iscriversi ad un sindacato rappresentato nell’azienda e chiedere il supporto legale all’imprescindibile causa di lavoro. Questo se ha fiducia nel sindacato (potrebbe anche ostacolarla, sia chiaro) e se non ha proprio i mezzi per permettersi un legale esperto in diritto del lavoro.
Il suggerimento è quello di non farsi illusioni: il dado l’ha tratto lei e non si illuda adesso che, rinunciando all’azione giudiziale, la società smetta di vessarla e tutto possa tornare come prima.
Paradossalmente, anzi, il fatto che presso il tribunale del lavoro penda un suo ricorso potrebbe garantirle un periodo di relativa tranquillità.
Purtroppo oggi far valere i propri diritti, soprattutto nel campo del lavoro, è impresa ardua e costellata di amarezze e soprusi. Ringraziamo di questo l’indimenticabile Fornero (quella del choosy) e soprattutto l’ineffabile Renzi con il suo Jobs Act a tutele crescenti.
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