Roberto Petrella

I fideiussori di professione si fanno pagare la garanzia, perché questo è il loro mestiere, e sottoscrivono con il creditore garantito (la banca) un contratto che prevede il beneficio di escussione.

Con il beneficio di escussione la banca deve escutere (o almeno tentare di farlo) il debitore principale (suo marito). Solo dopo tentativi infruttuosi e documentati, la banca può rivolgersi al fideiussore che risponderà (volente o nolente) del credito non rimborsato alla banca dal debitore principale di cui si è fatto garante.

Successivamente, dopo aver saldato il dovuto, il fideiussore perseguirà il debitore principale cercando di recuperare tutto o parte di quanto ha dovuto sborsare in virtù della garanzia prestata.

Questo è quanto per quel che riguarda quella che sembrava essere la prima domanda.

Ora, lei si è fatta carico, pur essendo in regime di separazione patrimoniale, dei debiti di suo marito che sembrano tutti essere riconducibili ad attività professionale del coniuge. E’ pur vero che un creditore “tignoso” potrebbe eccepire che, comunque, i debiti accumulati da suo marito sono stati contratti per esigenze familiari (certamente lo sono quelli erariali) e chiamarla al pagamento solidale. Ma, insomma, il creditore dovrebbe comunque sudare le proverbiali sette camicie prima di poter aggredire i suoi beni.

E, a proposito di beni, lei non riferisce se è proprietaria di immobili o titolare di sostanziose disponibilità in conto corrente. Nè se suo marito è, o meno, nullatenente.

Questo sarebbe un dato importante, perchè se l’unico bene aggredibile è lo stipendio percepito allora va presa in seria considerazione l’eventualità di non pagare più nessuno.

Per tutti i creditori (banche, finanziarie, fideiussori e garanti) che dovessero chiamarla in causa per i debiti suoi e/o di suo marito e che dovessero spuntarla in Tribunale, lei dovrebbe cedere una quota pari al 20% del suo stipendio.

Qualunque sia l’entità del debito di suo marito che le venisse accollato dal giudice.

E, con l’ulteriore considerazione che non tutti i creditori si rivolgono al giudice: molti preferiscono vendere il proprio credito ad altri ed è questa la ragione per cui, dopo qualche tempo, si concludono fra debitore e cessionario (chi acquista il credito tramite cessione) anche accordi cosiddetti a saldo stralcio, con un abbattimento considerevole del credito inizialmente vantato (per capirci, i 22 mila euro e rotti dovuti a Unifidi potrebbero tradursi in qualcosa come 2.200 euro in più tranches).

Per quanto attiene Equitalia (debiti esattoriali) il mancato pagamento delle cartelle esattoriali si tradurrebbe in un prelievo alla fonte del 10% dello stipendio netto percepito (se questo è minore o uguale a 2.500 euro) che si andrebbe ad aggiungere al 20% per i debiti ordinari, di cui abbiamo appena discusso.

E, se un giorno suo marito dovesse trovare nuova occupazione, cosa che gli auguro di cuore, al massimo si vederebbe decurtato lo stipendio di un 30% per tutti i debiti di natura sia ordinaria che esattoriale.

Certo, il debito iniziale verrebbe oberato da interessi e spese legali e, inoltre, lei non potrebbe più ottenere prestiti perchè sicuramente registrata come cattiva pagatrice nelle Centrali Rischi. Ma ogni soluzione ha il suo costo (niente è gratis).

Se invece lei obietta che sono nella disponibilità sua o di suo marito conti correnti traboccanti di euro, allora il consiglio è quello di trasferire tutto su un conto corrente intestato, ad esempio, al suocero, con delega di disporre ed operare. Prima di dichiarare unilateralmente la moratoria del debito (cosa che Grecia, Italia, Spagna e Portogallo dovrebbe affrettarsi a fare).

Se, ancora, lei possiede immobili (anche gravati da mutui ipotecari) il suggerimento, prima di dichiarare pubblicamente l’insolvenza e prima che su quei beni i creditori possano iscrivere ipoteca, è quello di vendere a terzi (non a parenti od affini) a prezzi di mercato con documentazione probante del passaggio di denaro (prima di dirottarlo sul conto corrente del suocero). Meglio ancora (anche e soprattutto per il terzo acquirente) se la compravendita è vincolata alla condizione che il compratore debba eleggere la casa acquistata ad abitazione principale (residenza per sé, per coniuge o figli). Giusto per evitare eventuali e sempre possibili azioni revocatorie o declaratorie di inefficacia dell’atto di compravendita nei confronti del creditore.


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