Differenza fra domicilio e residenza – I concetti di residenza anagrafica e di residenza civilistica

L'articolo 43 del codice civile definisce che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi mentre la residenza il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Si tratta, tuttavia, di una formulazione assai generica: secondo interpretazione convergente della giurisprudenza, la residenza coincide con la dimora abituale del soggetto in un dato luogo, ed è connotata da requisiti oggettivi e soggettivi.

Può quindi essere diversa dal luogo eletto quale domicilio, poiché sovente capita (ad esempio lavoratori autonomi/professionisti) che come domicilio venga scelto lo studio professionale, mantenendo la residenza presso la casa familiare. Il domicilio, quindi, coincide con il luogo in cui la persona abita o permane, in un dato momento ed in modo non abituale. Ha scarso rilievo giuridico, ed emerge solo allorquando non sia nota la residenza.

La Corte di cassazione (sentenza 25726/2011), infatti, ha stabilito che la residenza di una persona, secondo la previsione dell'articolo 43 del codice civile, è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.

Sempre i giudici di legittimità, con la sentenza 1738/1986, hanno affermato che la residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.

Gli ermellini hanno anche precisato che questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.

Anche la giustizia amministrativa si è occupata di definire al meglio i confini concettuali fra residenza e domicilio: nel farlo, i giudici amministrativi hanno, più concretamente, preferito ricorrere alla contrapposizione dei termini di residenza anagrafica e residenza civilistica (domicilio), affermando che l'indicazione anagrafica non individua inequivocabilmente la residenza civilistica, ma ha rilevanza sul piano probatorio e forma esclusivamente una presunzione circa il luogo di effettiva abituale dimora, che è accertabile (o confutabile) con qualunque mezzo di prova.

In particolare i giudici della quinta sezione del Consiglio di Stato (in una recente sentenza del 24 settembre 2019, precisamente rubricata al numero 6359/2019) hanno tenuto a precisare che l’obbligo di residenza previsto per i dipendenti pubblici è assolto anche quando il dipendente abbia stabilito la propria effettiva e permanente dimora nel luogo in cui si trova l’ufficio, assimilandosi il concetto di residenza a quello di residenza di fatto (o domicilio) ex articolo 43 del codice civile.

La vicenda, su cui si è espressa la giustizia amministrativa, riguardava un dipendente pubblico con residenza anagrafica nel luogo in cui era stato eletto consigliere comunale. Successivamente il dipendente pubblico era stato trasferito altrove dalla Pubblica Amministrazione per la quale prestava servizio e non aveva provveduto al cambio della propria residenza anagrafica. La giunta comunale gli aveva negato, così, il rimborso delle spese di viaggio sostenute per poter continuare ad esercitare il mandato da consigliere in occasione delle periodiche convocazioni, contestandogli la mancata variazione della residenza anagrafica, ritenuta obbligatoria per un dipendente pubblico; requisito che, a parere della controparte, costituiva il necessario presupposto per l'accesso al rimborso delle spese di trasferta (dal paese di trasferimento a quello in cui era stato eletto consigliere comunale).

Conclusioni: puntando alla sostanza, senza perderci in bizantinismi fra termini quali residenza, domicilio, dimora abituale, eccetera, eccetera, esistono due tipi di residenza: la residenza anagrafica (dichiarata agli uffici anagrafici, in cui prevale l'elemento soggettivo del dichiarante) valida per le notifiche giudiziarie e fiscali e la residenza civilistica (in cui prevale l'elemento oggettivo) che può essere anche di fatto (non necessariamente coincidente con la residenza anagrafica) e conferente per le comunicazioni postali (peraltro ormai in disuso, veicolate, a richiesta, con messaggi di posta elettronica, modalità che consente altresì di risparmiare in media quasi 2 euro mese di spese postali) relative alle cosiddette domiciliazioni (bancarie o afferenti ad utenze per la fornitura di gas, acqua e luce in una unità abitativa in cui il soggetto decide di vivere, avendone titolo di proprietà, locazione o ospitalità) nonché satisfativa rispetto all'obbligo di residenza nel luogo in cui l'ufficio è ubicato, previsto dalla legge per i dipendenti pubblici.

29 Settembre 2019 · Ludmilla Karadzic




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2 risposte a “Differenza fra domicilio e residenza – I concetti di residenza anagrafica e di residenza civilistica”

  1. Anna ha detto:

    Sono sposata e vivo con mio marito in una casa di sua proprietà in cui sono residente.
    Ho, di mia proprietà, un appartamento nello stesso comune di residenza (per il quale pago le tasse come 2a casa). Volendo adibire questo appartamento sfitto come ufficio per la mia attività, potrei modificare la mia residenza all’ufficio (in modo da renderlo come 1a casa) e mantenere il domicilio presso la casa di proprietà di mio marito?

    • Se la destinazione d’uso del secondo appartamento sfitto è residenziale (ovvero con superficie prevalente destinata ad uso abitativo) allora può senz’altro adibire l’appartamento a residenza. I coniugi non devono essere necessariamente conviventi.

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