Società di persone – Non espropriabili le quote sociali per debiti personali del socio
Le quote delle società (società in nome collettivo, società in accomandita semplice) di persone non possono, quanto meno in linea di principio, essere espropriate finché dura la società a beneficio dei creditori particolari dei soci.
Il principio non é enunciato espressamente in alcuna disposizione di legge, ma si desume con sicurezza dalla disciplina complessiva delle società personali, tradizionalmente ispirata all'esigenza che i rapporti fra i soci siano caratterizzati da un elemento fiduciario secondo il quale, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le partecipazione sociale può essere trasferita solo con il consenso di tutti i soci, ovvero di quelli che rappresentano la maggioranza del capitale sociale (articoli 2252, 2284 e 2322 del codice civile).
L'espropriazione della quota, comportando l'inserimento nella compagine sociale di un nuovo soggetto, prescindendo dalla volontà degli altri soci, introdurrebbe un elemento incompatibile con i caratteri di tale tipo di società. S'intende allora perché il legislatore, quando ha ritenuto di consentire ai creditori particolari del socio di soddisfarsi sui beni rappresentati dalla quota di partecipazione del loro debitore, abbia previsto la possibilità di richiedere (non già l’espropriazione, ma) la liquidazione della quota al socio debitore che, pur intaccando il patrimonio della società, non determina alcuna variazione nella composizione della compagine sociale.
L'inespropriabilità della quota non si ricollega ad un'esigenza di tutela dei creditori sociali (infatti la liquidazione della quota, comportando la diminuzione del patrimonio sociale, é meno conveniente per tali soggetti), ma é posta a protezione dei soci, in considerazione della particolare rilevanza che l’individualità di ciascuno di essi assume nei loro reciproci rapporti.
Così hanno statuito i giudici della sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza 36760/2017, richiamando quanto a suo tempo affermato dalla sezioni unite civili con la sentenza 15605/2002.
20 Settembre 2017 · Marzia Ciunfrini
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