La liberazione del debitore e la cancellazione dei debiti

Attenzione » il contenuto dell'articolo è poco significativo oppure è stato oggetto di revisioni normative e/o aggiornamenti giurisprudenziali successivi alla pubblicazione e, pertanto, le informazioni in esso contenute potrebbero risultare non corrette o non attuali.

L'eventuale  risanamento della posizione economica del debitore, attraverso la cancellazione dei debiti, e la possibilità, dunque, di un nuovo inizio, tale da permettergli di riassumere un ruolo economico attivo, non restano, nel lungo periodo, privi di conseguenze.

Conseguenze della eventuale cancellazione dei debiti (liberazione del debitore)

L’allentamento della pressione sul debitore affinché adempia può indurre, in primo luogo, un aumento del ricorso al credito ed un maggior numero di inadempimenti, incentivati dalla possibilità di ottenere poi la liberazione dagli effetti che essi comportano.

La cancellazione, inoltre, proprio perché opererebbe come una sorta di assicurazione contro il rischio di non essere in grado di pagare i propri debiti nel momento in cui verranno a scadenza, determina, alterando lo stesso sistema della responsabilità patrimoniale, una diversa ripartizione del rischio, poiché, se al debitore è concesso di liberarsi dei debiti rimasti insoddisfatti, il suo rischio rimarrà limitato al patrimonio che egli possiede al momento dell'escussione, con esclusione quindi di tutti i beni futuri e con grave nocumento dei creditori, costretti a sopportare la parte eccedente. Pertanto, l’esigenza di quest’ultimi di cautelarsi contro tali pericoli, inevitabilmente, non potrà che condurre ad una diminuzione della disponibilità del credito e, simultaneamente, ad un aumento del suo costo.

Dall'altra parte, però, si rileva che la sottoposizione del debitore inadempiente ad un regime afflittivo potrebbe comportare altrettante conseguenze in termini di riduzione della domanda di credito e, quindi, di abbassamento dei consumi, diminuendo la propensione all'indebitamento.

Inoltre, se è vero che il beneficio della cancellazione può dar luogo a comportamenti definibili di “azzardo morale”, e cioè alla indiscriminata assunzione di debiti, altrettanto vero è che esso, riducendo i pericoli connessi all'assunzione del rischio, svolgerebbe un ruolo non secondario nell’incentivazione dell'iniziativa economica e, quindi, dello sviluppo dell'imprenditorialità. L’esdebitazione sarebbe in grado di incoraggiare, non solo il ricorso al credito da parte delle piccole imprese, ma anche di promuovere l’assunzione del rischio imprenditoriale da parte degli individui i quali, almeno negli ordinamenti in cui tale beneficio è introdotto, sanno di non potervi ricorrere in assenza di una condotta onesta e di buona fede.

In conclusione, non vi è dubbio che l’intera disciplina dell'insolvenza delle persone fisiche sia ispirata al principio del favor debitoris, dal momento che gli strumenti predisposti dai diversi ordinamenti, nonostante la dichiarazione di principio di contemperare gli interessi del debitore con quelli dei suoi creditori, appaiono tutti concepiti e strutturati in modo tale da garantire, quale risultato finale, la liberazione del debitore stesso, malgrado il mancato o parziale soddisfacimento dei creditori.

Il favor debitoris è subordinato alle esigenze del credito al consumo

E proprio la circostanza che i singoli ordinamenti siano disposti a sacrificare gli interessi di quella categoria cui finora hanno cercato di apprestare il maggior grado di tutela, spinge a chiedersi se la scelta operata nella materia de qua da alcune legislazioni nazionali sia effettivamente ispirata da ragioni di solidarietà sociale o se essa invece sia stata imposta dall'esigenza del buon funzionamento del mercato, che altrimenti vedrebbe sottratto alla produzione un numero elevato di acquirenti, privati di ogni capacità recettiva.

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9 Novembre 2007 · Loredana Pavolini





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