Scandalo Facebook: Mark, che combini! – E ora: bisogna cancellarsi dal social?

Tutela consumatore, violazione della privacy e della dignità del debitore












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Ho seguito con discreta attenzione le dinamiche inerenti allo scandalo dei dati venduti da Facebook ad una società di statistiche: sono rimasta veramente molto turbata da questa violazione gravissima della privacy.

Nel dettaglio, però, non ho capito molto bene cosa è accaduto.

Vorrei saperne qualcosa in più e soprattutto sapere, se, alla luce di questo avvenimento, come ci si debba tutelare.

Conviene eliminarsi definitivamente dal social per proteggersi?

Ormai, a cadenza sempre più regolare, viene fuori uno scandalo che riguarda l’uso che viene fatto dei nostri dati su Internet: ogni qualvolta, però, il mondo sembra cadere dalle nuvole. Peraltro, dovrebbe essere ampiamente risaputo che ogni nostro accesso al web lascia una traccia in rete. E, soprattutto, che questa traccia viene letta, archiviata, catalogata, elaborata, rivenduta.

Tutti i colossi mondiali dell’informatica, soprattutto quelli gratuiti, come appunto Facebook, ma anche Google e Whatsapp, in qualche modo, devono far soldi.

Pensavate si trattasse di beneficenza, farci utilizzare queste piattaforme gratuitamente? Ebbene, non lo è.

Ogni cosa che pubblicate sui social, è indice di un vostro tipo di comportamento nella società, e correlato, sopratutto, al vostro modo di consumare. Così, loro affinano i loro algoritmi per conoscerci sempre meglio, per poter prevedere, e forse anche indurre, i nostri bisogni e le nostre emozioni, suggerendoci quindi questo o quel prodotto. Inoltre, l’arrivo dei sempre più potenti smartphone ha dato a queste aziende nuove risorse: ora possono studiarci non solo per quello che cerchiamo in rete o che scriviamo, ma per come ci comportiamo.Sanno in tempo reale dove siamo.

Continuando di questo passo potremmo sfociare nelle più assurde (o no) teorie complottistiche e di cospirazione, magari gettando le basi per un film distopico. Ma non è questa la sede, ne il momento adatto. Veniamo al concreto.

Quello che è accaduto, nel reale, è che due famosissimi giornali, Observer e New York Times, hanno rivelato che una società di consulenza politica di Londra, Cambridge Analytica (CA), ha usato senza autorizzazione un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook.

Quella società ha effettuato una meticolosa profilazione di 50 milioni di statunitensi e ha venduto i dati ai suoi clienti. Non si è tecnicamente trattato di spionaggio: CA ha acquistato i dati da un’app, Thisisyourdigitallife, cui gli utenti li avevano ceduti per poter accedere. Il punto è che le condizioni di servizio di Facebook vieterebbero la compravendita di quei dati tra app e società di consulenza. Secondo la talpa dei due quotidiani, Facebook sapeva di questo uso improprio da almeno due anni, ma non avrebbe fatto nulla per bloccarlo.

Robert Mercer, il più importante dei donatori di Trump, versò 15 milioni a Cambridge Analytica perché desse vita a uno strumento di profilazione degli elettori. Stephen Bannon, ex consigliere di Trump alla Casa Bianca, era stato vicepresidente di CA; e proprio CA fu assoldata dalla campagna elettorale del tycoon (guidata da Bannon). Le dimensioni della profilazione, e dell’utilizzo fatto dal team di Trump, non sono al momento note.

Secondo l’Observer, CA è stata al centro anche della campagna per far uscire la Gran Bretagna dall’Ue. Facebook è la piattaforma che ha reso possibile la raccolta dei dati. Dei 270 mila che hanno scaricato l’app Thisisyourdigitallife e hanno usato le loro credenziali del social network per usarla. E dei loro 50 milioni di amici, che essendosi iscritti a Facebook prima del 2014 hanno accettato che i loro dati potessero venire pescati da app terze. Non però che potessero venire venduti, come è accaduto. Facebook sapeva, ma non è intervenuto.

Dunque, i nostri profili, completi di dati e abitudini di navigazione, (quello che ci piace a quello che no, chi potremmo votare o meno) potevano, sono e potranno essere rivenduti a società analitiche per gli scopi più disparati. Facciamocene una ragione. Ma è possibile difenderci e tutelare la nostra privacy?

Difendere i propri dati su Facebook è ormai diventato necessario quanto installare un antivirus.
L’unico metodo efficace al 100% per evitare di essere manipolati, purtroppo, è il più brutale: bisogna smettere di utilizzare la creatura di Mark Zuckerberg.

L’hashtag #deletefacebook è sempre più virale: tra i molti utenti che hanno condiviso tweet e post con questo hashtag, però, ce n’è uno destinato a far più rumore degli altri: si tratta di Brian Acton, co-fondatore WhatsApp, la famosissima applicazione di messaggistica istantanea acquistata da Facebook nel 2014 alla modica cifra di 16 miliardi di dollari. Acton ha lasciato WhatsApp all’inizio di quest’anno per avviare una propria attività: lo scandalo Cambridge Analytica deve averlo lasciato particolarmente scioccato, a giudicare dal suo ultimo tweet.

Comunque, nel caso non vogliate arrivare a questa misura così drastica, ecco come agire per tutelarsi il più possibile.

Per prima cosa controllate la pagina delle impostazioni. Nella sezione applicazioni, verrà visualizzato un elenco di app il cui accesso è effettuato con Facebook. Se non le riconoscete tutte, rimuovete le intruse cliccando sulla “X”. Scorrendo in fondo alla pagina, cliccate sul bottone “Modifica” relativo alle “Applicazioni usate dagli altri”. Da qui potrete regolare le impostazioni sulla privacy.

I buchi relativi a questa funzione (poi corretti da Facebook nel 2016) hanno permesso a Cambridge Analytica di farsi gli affari di 50 milioni di persone. Oggi le informazioni che possono essere consegnate a nostra insaputa sono molte meno rispetto al passato, ma includono ancora la data di nascita, le opinioni religiose e politiche, le attività, gli hobby e così via.

Se non volete correre il rischio che questi dati vengano condivisi a vostra insaputa, vi basterà deselezionare tutte le caselle. Se siete arrivati fino a qui, ma non vi sentite ancora abbastanza protetti, è ora di impedire a Facebook di geolocalizzarvi.

Condividere i vostri spostamenti, infatti, è uno dei modi più efficaci per il social di fare soldi. Le inserzioni pubblicitarie del ristorante a cento metri dalla vostra posizione non compaiono per magia sullo schermo del telefonino.

Se volete che Zuckerberg non utilizzi più questa miniera d’oro di informazioni dovete cambiare le impostazioni dei vostri telefonini. Per gli iPhone, bisogna cliccare su Impostazioni e poi Privacy. Da qui potrete disabilitare il tracciamento.

Per Android, visitate Impostazioni, Applicazioni, cliccate su Facebook, poi su Autorizzazioni e deselezionate la localizzazione.

Ci leggiamo al prossimo scandalo!

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23 Marzo 2018 · Andrea Ricciardi

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