Comportamento sleale del direttore di banca opposizione a decreto ingiuntivo e possibilità di adire il giudice del sovraindebitamento ex legge 3/2012

La condotta assunta dal direttore sembrerebbe violare i doveri di correttezza e buona fede che devono essere tenuti nei rapporti fra banca e cliente












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Dall’anno 2015 in poi, la mia azienda ha sempre aumentato il fatturato ogni anno dimostrandosi un’azienda sana e produttiva: dapprima ha operato addirittura senza affidamenti bancari, poi nel 2017 a seguito della sottoscrizione di una importante commessa ha impiegato tutte le sue risorse nella realizzazione di un impianto.

Il 26 ottobre del 2017 purtroppo, subito dopo la fine dei lavori, ma prima che avvenisse il collaudo, una cisterna della capacità di 100.000 litri collassava causando ingenti danni all’impianto. Una perizia di un ingegnere dell’Università di Tor Vergata di Roma, ha stabilito che la responsabilità dell’incidente è di esclusiva responsabilità del produttore della cisterna. Tuttavia la precaria condizione economica generatasi ci ha impedito di sostenere i costi di un’azione giudiziaria per il recupero del danno nei confronti del fornitore.

Seguirono varie discussioni con il committente che aveva interrotto i pagamenti, fino a quando non si decise di ripristinare l’intero impianto per evitare un contenzioso con il cliente. A febbraio del 2018 ripresero i lavori. Nel frattempo però, alcune intese con aziende della zona vennero meno perché decisero di non proseguire nella preventivazione di alcuni lavori come anche i segnalatori smisero di procacciare clienti. Ci trovammo quindi a dover affrontare il ripristino dell’impianto in assoluta autonomia e con scarse risorse economiche. La mia azienda in quel momento usufruiva di un affidamento bancario di 30.000 euro in scadenza nel mese di maggio 2018 pertanto chiese che venisse aumentato a 50.000 euro.

L’affidamento venne concesso con garanzia della COOPFIDI. Purtroppo però le conseguenze dell’incidente furono peggiori del previsto e la situazione economica della mia azienda cominciava a subire grosse perdite. Nonostante ciò, non abbiamo mai sconfinato sul conto bancario, se non occasionalmente e per piccole somme, dall’importo concessoci. Nel 2019, poiché la situazione di difficoltà permaneva, ci rivolgemmo alla COOPFIDI per aumentare la concessione del credito e ottenere un po’ di liquidità. Poiché i libri contabili, al mese di aprile 2019 non presentavano sofferenze la COOPFIDI ci concesse 60.000 euro di garanzie per l’affidamento e 25.000 euro con un prestito per liquidità.

Tuttavia, nonostante la situazione finanziaria non presentasse eccessive criticità se non l’utilizzo per intero dell’affidamento di 50.000 euro, il nuovo direttore, appena subentrato, decise non solo di non concederci l’aumento del fido, ma di utilizzare i 25.000 euro di prestito per liquidità, per ridurre l’esposizione del fido da 50.000 a 30.000 euro. Così ci ritrovammo improvvisamente con un fido inutilizzabile e in più le rate trimestrali del prestito da pagare. Abbiamo resistito senza creare sofferenze bancarie fino a ottobre del 2019 quando abbiamo chiesto alla COOPFIDI di garantirci un affidamento con un altro istituto bancario sul quale avevamo un conto corrente dove operavamo senza affidamenti e senza sofferenze. La COOPFIDI ci concesse le garanzie anche se, purtroppo, con molto ritardo per via di malattia del personale, errori nella compilazione dei contratti etc.

Ho chiesto più volte al direttore di concederci qualche migliaio di euro di extrafido per non correre il rischio che si generassero delle sofferenze ma mi sono state sempre negate. Nel frattempo, subentrata anche la pandemia e il lock down, la situazione cominciava a precipitare e io mi arrangiavo prelevando dalle carte di credito ogni mese per rientrare di eventuali sconfinamenti sul conto che poi ripianavo con i pochi lavori che riuscivamo ad ottenere. Non potendo più mantenere i dipendenti la segretaria si è licenziata e un tecnico è stato messo in cassa integrazione. Nel mese di aprile il direttore, anziché intraprendere delle azioni a sostegno di un’impresa in difficoltà non per incapacità gestionale, ma per eventi catastrofici imponderabili intervenuti di cui era perfettamente a conoscenza, mi comunicò di avermi revocato le carte di credito. Così andai in sofferenza sia sul conto personale, sia su quello societario.

Di li a poco anche l’altra banca, che doveva deliberare l’affidamento ma, con il lock down i tempi si erano allungati all’inverosimile senza che la mia azienda potesse acquisire nuove commesse, negò la concessione del fido perché era a conoscenza della sofferenza sul conto della prima banca sebbene si trattasse solo di 1000 o 2000 euro che però il direttore non ha voluto assolutamente concederci come extra fido. A quel punto la capacità finanziaria dell’azienda si è azzerata e nonostante fosse riuscita ad avere un po’ di fatturato abbassando notevolmente i prezzi dei servizi e di conseguenza i guadagni, non siamo mai riusciti a rientrare nei limiti del fido. Gli interessi hanno continuato a crescere fino a quando il direttore mi ha comunicato che con il decreto sostegni avrei potuto consolidare il debito di 25.000 euro e appianare lo sconfinamento del fido. Accettai.

Purtroppo però all’atto dell’erogazione, il direttore mi comunicò che, non solo la somma non sarebbe stata sufficiente a ripianare tutta l’esposizione extrafido, ma inoltre, proprio all’atto della firma, scoprii che una delle clausole che stavo firmando era quella relativa alla rinuncia dei benefici del DPCM sostegni perché, avendo una sofferenza, non potevo usufruirne. Inoltre, mentre il prestito precedente era garantito per oltre il 50% da COOPFIDI, questo nuovo prestito prevedeva la mia garanzia personale quasi al 100%. Ma se questa operazione non mi ha portato alcun vantaggio economico, anzi, ha aggravato la mia posizione debitoria nei confronti della banca, era lecito che il direttore me la proponesse? Il mio debito infatti dopo questa operazione non è cambiato, prima dovevamo restituire 25.000 euro di prestito più quasi 42.000 euro di fido con una garanzia personale minima, dopo dovevo restituire 34.000 euro di prestito e 33.000 di fido ma con una garanzia personale molto maggiore. La somma non è cambiata. E’ legittimo? Dov’è la tutela del privato in questa vicenda, avvenuta per altro in piena pandemia?

Ovviamente in questa condizione non ho potuto far fronte agli impegni e nemmeno affrontare un contenzioso con la ditta fornitrice della cisterna perché privo di risorse economiche.

Una volta il direttore mi chiamò e mi chiese di rientrare sul conto, gli feci notare, in modo civile, che se il suo comportamento e quello della sua banca non fosse stato così persecutorio nei miei confronti, probabilmente avrei potuto riprendermi e cominciare a sanare la mia posizione. Si offese e mi disse che non avevamo più nulla da dirci. Così è cominciato un declino sempre peggiore che ha portato anche alcuni fornitori a intraprendere azioni di recupero crediti con decreti ingiuntivi e pignoramento del conto corrente della seconda banca.

Tengo a precisare che, nonostante tutto, fino alla concessione della garanzia di COOPFIDI per il fido di 30.000 euro con la seconda banca, la nostra situazione finanziaria, ancorché critica, non presentava sofferenze.

Mi chiedo se tutto ciò possa essere avocato in una azione di opposizione al decreto ingiuntivo e se si può determinare una responsabilità oggettiva della prima banca nella situazione debitoria della mia azienda. Mi conviene invocare la legge 3 del 2012 sul sovraindebitamento? Grazie per la gradita risposta.

Purtroppo, nel corso della sua dettagliata esposizione non si ravvisano elementi tali da giustificare una motivata opposizione a un eventuale decreto ingiuntivo richiesto dal creditore per ottenere il recupero coattivo di partite debitorie non rimborsate: il giudice che pronuncia l’ingiunzione di pagamento, infatti, è tenuto esclusivamente a stabilire se il credito vantato è certo, liquido ed esigibile (articolo 633 del codice di procedura civile).

Tuttavia, i profili di condotta tenuti da più di un direttore di banca sembrerebbero violare gli articoli 1175 e 1375  del codice civile, secondo i quali il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza e della buona fede contrattuale: ma la contestazione dovrebbe essere oggetto di una distinta ed autonoma azione giudiziaria.

Infine, per quel che attiene un possibile ricorso al giudice del sovraindebitamento, ex legge 3/2012, tale strada sarebbe percorribile se, e solo se, lei risultasse essere un imprenditore non fallibile: aspetto che non emerge nel quesito.

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14 Dicembre 2021 · Marzia Ciunfrini

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