Diritto di acquistare l’immobile della PA condotto dal genitore – Non può esercitarlo l’erede che non convive anagraficamente con il defunto al momento del decesso
In tema di dismissione del patrimonio locato della Pubblica Amministrazione, l’assenza della pregressa abituale convivenza dell’erede osta alla successione mortis causa nella detenzione qualificata ed all’esercizio del diritto di opzione di compravendita del bene. Infatti, l'abituale convivenza dell'erede con il conduttore defunto va accertata alla data del decesso, essendo la successione “mortis causa” nel contratto di locazione un fatto giuridico istantaneo che si realizza all'atto stesso della morte del conduttore, restando insensibile agli accadimenti successivi.
In assenza di un tale requisito,il figlio della conduttrice deceduta, trasferitosi anagraficamente nel medesimo appartamento solo dopo la morte della madre, benché prima delle delibere comunali inerenti la dismissione del patrimonio immobiliare, non può chiedere di poter acquistare l’immobile.
Infatti, l'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata. Poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto, analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione, nei confronti dell'erede sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo.
Dunque, se il figlio trasferisce la residenza presso i locali, di cui la madre era conduttrice, soltanto dopo il decesso di questa (anche se prima delle delibere di dismissione del patrimonio comunale) con ciò pone in essere un comportamento ininfluente al fine della prova di un requisito legale che deve, invece, sussistere al momento stesso della morte.
Inoltre, i giudici di legittimità hanno precisato che la stabile ed abituale convivenza, da parte del coniuge, degli eredi, dei parenti e/o degli affini, intesa quale comunanza di vita preesistente, è da escludere nel caso di trasferimento per mere ragioni transitorie quali l’assistenza. Insomma, la convivenza va documentata anagraficamente.
Questo l'orientamento assunto dalla Corte di cassazione nella sentenza 12916/15.
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