Studi di settore – Perché al contribuente conviene sempre aderire all’invito al contraddittorio

La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore prevede il contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell’impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame.

D'altra parte la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, che l’ente impositore deve dimostrare, quanto la controprova offerta dal contribuente

Tuttavia, se il contribuente non aderisce all'invito al contraddittorio, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito.

Così i giudici della Corte di cassazione nella sentenza 20662/14.

13 Ottobre 2014 · Giorgio Valli