Dopo mesi di agonia ed infiniti tira e molla e scaricabarile, alla fine, Il Tar del Lazio ha confermato la sanzione inflitta nel 2016 dall’Antitrust a Vodafone Italia per due pratiche commerciali ritenute scorrette e riferite al tema della rimodulazione di piani tariffari da 30 a 28 giorni.
Come ampiamente noto, nei mesi di marzo e maggio 2016, Vodafone avviò la rimodulazione dei piani tariffari offerti ai propri clienti di telefonia mobile e di telefonia fissa, prevedendo la riduzione del periodo di rinnovo da 30 giorni a 4 settimane, comunicando tale volontà ai clienti e dando loro la possibilità di recedere dal contratto.
In tale comunicazione, però, ai clienti che, in abbinamento al servizio di telefonia mobile avevano acquistato un prodotto, Vodafone ricordava che se avessero deciso di recedere avrebbero pagato, a seconda dell’offerta, le eventuali rate residue e ai consumatori che al momento dell’attivazione del servizio di telefonia mobile avevano ottenuto uno sconto legato ad una permanenza minima contrattuale, veniva ricordato che, qualora avessero esercitato il diritto di recesso prima della scadenza del vincolo contrattuale, avrebbero dovuto versare il corrispettivo di recesso anticipato previsto dalle condizioni generali di contratto.
L’Antitrust avviò un procedimento istruttorio, concluso con la sanzione, poi impugnata.
Per il Tar, però, ha ragione l’Antitrust nel ritenere che la scelta commerciale di Vodafone si è risolta nello sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione in modo da limitarne la capacità di assunzione di una decisione consapevole.
Vanno, quindi, qualificate come scorrette le condotte esaminate.
Oggetto di contestazione non è la previsione contrattuale in sé, vale a dire la richiesta del prezzo residuo, ma le modalità e i tempi che caratterizzano tale richiesta, attraverso il saldo in un’unica soluzione.
E’ stata considerata aggressiva la pratica commerciale volta a richiedere il pagamento del prezzo secondo tali modalità anche a fronte dell’esercizio del diritto di recesso dal contratto che discende, non da una libera iniziativa del singolo consumatore o da una causa a lui imputabile in termini di responsabilità, ma da una scelta unilateralmente imposta da Vodafone, ossia l’esercizio dello ius variandi.
I consumatori, in sostanza, pur essendo resi edotti, nelle Condizioni Generali dell’offerta, della circostanza che il recesso dal contratto di telefonia abbinato alla vendita di un prodotto è liberamente esercitabile dal cliente e che lo stesso comporta il pagamento delle rate residue in un’unica soluzione, non è tuttavia informato di ciò che accade nell’ipotesi in cui il recesso sia determinato dal peggioramento delle condizioni tariffarie: in tale ipotesi, infatti, la decisione del consumatore di recedere dal contratto non può definirsi volontaria ma è indotta dallo ius variandi.
La decisione di Vodafone di imporre, anche in questo caso, il pagamento in un’unica soluzione del saldo finale è stata ritenuta dall’Autorità, sulla base di una motivazione logica e adeguata, idonea a integrare una pratica commerciale aggressiva, a causa della coercizione sulla libertà di scelta o di comportamento del consumatore rispetto all’esercizio del diritto di recesso condizionato dalle modifiche tariffarie.
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