Risarcimento danni da inadempimento contrattuale e lucro cessante
In tema di responsabilità contrattuale trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando all'attore/creditore solo l'onere ...
In tema di responsabilità contrattuale trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando all'attore/creditore solo l'onere della prova dell'inadempimento e dell'entità del danno, mentre, di converso, al debitore spetta, per sottrarsi all'obbligo risarcitorio, dimostrare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili.
Il risarcimento del danno dovuto all'inadempimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore (danno emergente) che il mancato guadagno (lucro cessante) in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (nesso di causalità fra inadempimento e danno).
Quindi per il sorgere del diritto al ristoro dei danni ed alla reintegrazione patrimoniale, in tema di responsabilità civile da inadempimento di contratto, non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì esser provato il pregiudizio effettivo e reale incidente nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato e la sua entità.
In particolare il danno patrimoniale da mancato guadagno (lucro cessante) concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte: giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della particolare pretesa, ben può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa desumere l'entità del danno subito.
Quello appena espresso è il convincimento dei giudici della Corte di cassazione, così come emerge dalla lettura della sentenza 24632/15.