Per il fisco è reato compensare un credito inesistente o un credito non spettante

Le norme tributarie (articolo 10 quater del D.Lgs. 74/2000) puniscono la condotta di chi utilizzi in compensazione nelle dichiarazioni di imposta, crediti non spettanti ovvero inesistenti, per un ammontare superiore, per ogni periodo di imposta, ad Euro 50 mila.

Va tuttavia precisato che, mentre il concetto di credito inesistente è di facile ed intuibile identificazione (essendo chiaramente tale il credito del quale non sussistono gli elementi costitutivi e giustificativi), la nozione di credito non spettante consiste nel portare, eventualmente, in detrazione un credito tributario, pur astrattamente esistente ma ancora pendente.

Deve ritenersi pertanto, concordemente con quanto già affermato in giurisprudenza, che sia credito tributario non spettante quel credito che pur certo nella sua esistenza ed ammontare sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile in operazioni di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l'Erario.

La legge 388/2000 stabilisce un tetto oltre il quale il credito non può essere compensato: la parte eccedente del credito può essere chiesta in rimborso o può essere portata in compensazione l’anno successivo. In pratica, per quanto certo e determinato, il credito eccedente non è esigibile nell'anno di imposta in cui si è formato: utilizzarlo per compensare crediti e debiti verso l’Erario è condotta che integra il reato di indebita compensazione perché, di fatto, realizza una fraudolenta sottrazione di pagamento nei confronti dell’Erario.

Questo il principio giuridico enunciato dai giudici della Corte Suprema, sezione penale, nella sentenza 36393/15.

11 Settembre 2015 · Giorgio Valli