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Nessun risarcimento danni al correntista che cita la banca per il protesto di un assegno

Nessun risarcimento del danno per il correntista che emette un assegno, il quale viene successivamente protestato a causa dell'incapienza del conto corrente.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza 3286/13, ha sancito che: In caso di incapienza del conto corrente, non sussiste una posizione di interesse legittimo del correntista, consistente nel legittimo affidamento dello stesso di essere avvertito della presenza dell'assegno, al fine di evitare ancora una volta la levata del protesto. In tal caso, infatti, si è in presenza di un interesse di mero fatto del correntista, per nulla assimilabile ad un interesse legittimo.

A parere degli Ermellini, quindi, l’interesse del correntista non riveste né la forma di diritto soggettivo, né quella di interesse legittimo, anche perché non sussiste alcun obbligo da parte della banca di informare il proprio cliente dell'assegno a vuoto. Inoltre il protesto, in quanto evento dannoso, non è riferibile alla condotta dell'istituto di credito, ma semmai è a carico del correntista che non poteva certamente ignorare la circostanza che il conto corrente a lui intestato fosse non capiente.

Dopo il protesto di un assegno, il cliente di un istituto di credito, citava la banca presso il Tribunale di Pistoia per contestare la validità del protesto ed ottenere un indenizzo per i danni subiti. Secondo l'uomo, infatti, la banca avrebbe dovuto avvertirlo dell'incapienza del proprio conto corrente.

Il giudice di merito, però, dichiarava legittimo il protesto dell'assegno emesso e rigettava anche la domanda del traente al risarcimento dei danni.

Così, l'uomo proponeva ricorso per appello.

Qui, la Corte Territoriale, rigettava il ricorso nell'ambito del protesto, confermando la legittimità, ma riconosceva al correntista almeno il diritto al risarcimento danni.

Dopo questa sentenza, che accoglieva parzialmente ma non totalmente le richieste di ambo le parti, sia l'istituto di credito che il correntista decidevano di ricorrere in Corte di Cassazione.

Ma la Suprema Corte non condivide quanto asserito dai giudici territoriali e sul punto ribalta la pronuncia della Corte d’appello.

L’aspettativa del ricorrente, difatti, non può essere elevata ad interesse legittimo, consistendo soltanto in un interesse di mero fatto e, per tale ragione, non tutelabile dall'ordinamento giuridico.

Tra le argomentazioni utilizzate dalla Suprema Corte quella che l’interesse del correntista non riveste né la forma di diritto soggettivo, né quella di interesse legittimo, anche perché non sussiste alcun obbligo da parte della banca di informare il proprio cliente dell'assegno a vuoto.

A ciò si aggiunga come il protesto, in quanto evento dannoso, non è riferibile alla condotta dell'istituto di credito, ma semmai è a carico del correntista che non poteva certamente ignorare la circostanza che il conto corrente a lui intestato fosse non capiente.

Inoltre, neppure può ravvisarsi una condotta illecita ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile tenuta dalla banca e tale circostanza, da sola, impedisce di configurare il presupposto alla base del quale si pone il diritto al risarcimento.

In via conclusiva la Suprema Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale proposto dall'istituto di credito e, nel decidere nel merito, rigetta la domanda di risarcimento dei danni.

28 Settembre 2024 · Carla Benvenuto

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