Ansia da mendicanti e lavavetri – Il Comune è tenuto a pagare i danni?

I pedoni che domandano (con insistenza) soldi sulla strada comunale possono essere equiparati al tronco caduto sull'asfalto e perciò fuori posto rispetto al di­ritto di circolare dell'automobilista, in modo che il Comune sa­rebbe tenuto alla materiale attività di sgombero della carreggiata da tali pericoli/insidie per garantire la sicurezza e la fluidità del traffico?

Questo il curioso interrogativo posto alla Corte di cassazione (sentenza 13568/15) da un automobilista che aveva chiesto al Giudice di pace un risarcimento danni di 2500 euro al Comune di residenza per il disagio e l'ansia che gli sarebbero derivati dalla pratica di pedoni ben vestiti e ben pasciuti, anche deam­bulanti con stampella/e, muniti di cartello, marsupio e berretto che, all'altezza di un impianto semaforico da oltre un anno erano soliti chiedere de­naro agli automobilisti.

Il giudice di pace aveva dichiarato la propria incompetenza in favore del giudice amministrativo. ma l'automobilista aveva proposto ricorso prima al Tribunale e poi alla Corte suprema.

Per i giudici di legittimità, l'ente proprietario-custode della strada deve elimi­nare materialmente, senza soluzione di continuità, tutte le insidie ed i pericoli che minacciano le garanzie di sicurezza e di fluidità della circo­lazione veicolare, diversamente si rende inadempiente nei confronti dell'avente diritto (nel caso specifico l'automobilista ricorrente). Tuttavia è del tutto priva di fonda­mento l'equiparazione, tra cose ingombranti e lavavetri all'incrocio o al semaforo dal momento che, quando viene in rilievo un'attività umana espressione di una forma di mendicità e di una "semplice richiesta di aiuto" proveniente da chi si trova in condizioni di povertà, non è pertinente il richiamo al dovere dell'ente proprietario della strada di porre in essere una attività materiale, un mero compor­tamento di "pulizia delle strade", come recita l'art. 14 del codice della strada.

E' infatti in gioco, in un tale scenario, un ambito in cui l'azione amministrativa, pur indirizza­ta alla tutela di beni pubblici importanti (l'incolumità pubblica e la sicu­rezza urbana), deve muoversi nel necessario rispetto della dignità della persona umana e dei diritti degli "ultimi", essendo destinata a risolversi in prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni a coloro che ne sono destinatari.

E, pertanto, concludono i giudici della Corte di cassazione, ai fini dei riparto di giurisdizione va osservato che alla cognizione del giudice amministrativo - giudice del legittimo eser­cizio della funzione amministrativa - sono attribuite le domande di ri­sarcimento del danno che si ponga in rapporto di causalità diretta con l'illegittimo esercizio del potere pubblico, mentre resta riservato al giu­dice ordinario soltanto il risarcimento dei danno provocato da "compor­tamenti" della p.a. che non trovano rispondenza nell'esercizio di quel potere.

Vedremo come andrà a finire al TAR ed, eventualmente, al Consiglio di Stato.

3 Luglio 2015 · Patrizio Oliva