Trasmissibilità agli eredi dei debiti contributivi INPS » L’unica salvezza è la rinuncia all’eredità

Trasmissibilità agli eredi dei debiti contributivi INPS » L'unica salvezza è la rinuncia all'eredità

La domanda che ci si pone è se i debiti Inps si trasmettono agli eredi: gli eredi sono chiamati a pagare sia i contributi che gli interessi, salvo il diritto di rinunciare all'eredità.

Una delle domande più spesso poste nel nostro forum è la seguente: gli eredi sono obbligati al pagamento dei contributi INPS non pagati dal de cuius?

Come chiarito già da qualche tempo dall'Inps con la circolare numero 165 del 22 agosto 2001, non solo agli eredi si trasmettono tutti i debiti contributivi Inps ma gli stessi sono gravati anche delle relative sanzioni.

Già la Cassazione, in realtà, con la sentenza numero 562/2000 aveva precisato che il debito ereditario cui si riferisce l'articolo 752 del codice civile è quello esistente in capo al "de cuius" al momento della sua morte e ricomprende non solo la somma capitale ma anche gli interessi "il cui maturarsi giorno per giorno non trova un limite temporale nella morte del debitore".

Del resto l'intrasmissibilità agli eredi di un'obbligazione pecuniaria si ha solo quando essa rientra tra le situazioni giuridiche obbligatorie strettamente inerenti alla persona del titolare e, in quanto tali, destinate a cessare con la morte dell'obbligato.

Oltretutto, il fatto che gli eredi si debbano fare carico delle sanzioni da violazione contributiva trova conferma anche nell'articolo 116 della legge finanziaria 2001, che ha espressamente definito la sanzione per violazioni inerenti al versamento di contributi e premi come una sanzione civile.

Insomma: se il de cuius è inadempiente nei confronti dell'Inps, l'erede non potrà far altro che pagare.

In ogni caso, resta sempre ferma la possibilità di rinunciare all'eredità, possibilità che potrebbe risultare conveniente laddove complessivamente i debiti del defunto (compresi quelli contributivi) siano di valore superiore ai crediti.

Mediante tale atto, infatti, l'erede può far sì che cessino tutti gli effetti che si sono verificati nei suoi confronti a seguito dell'apertura della successione e può restare, di conseguenza, completamente estraneo al fenomeno successorio, manlevandosi anche dal pagamento di quanto dovuto all'Inps".

La circolare dell'Inps che chiarisce la problematica riguardante la trasmissibilità agli eredi dei debiti INPS

In modo da poter fare ampia luce sulla questione sopra esposta, esaminiamo la circolare dell'Inps che chiarisce la diatriba riguardante la trasmissibilità agli eredi dei debiti INPS.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la circolare n.41/2001 del 3 aprile 2001 per disciplinare, alla luce delle disposizioni contenute nell'art.116 comma 17 della legge 23 dicembre 2000 n.388, i casi eccezionali nei quali il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e Finanze, può concedere con decreto il prolungamento della dilazione fino a 60 mesi.

Le fattispecie previste sono le stesse per le quali il comma 15 lettera a) del medesimo articolo, consente agli Enti impositori la riduzione delle sanzioni civili fino alla misura degli interessi legali, sulla base dei criteri che i rispettivi Consigli di Amministrazione adotteranno a seguito della direttiva interministeriale del 19 aprile 2001, pubblicata sulla G.U. n.134 del 12 giugno 2001.

L’ art. 116 c. 17 della legge 388/2000 citato, che non ha abrogato l’art. 2 comma 11 della legge 7 dicembre 1989 n.389 nella parte in cui prevede che il Ministro del Lavoro autorizzi il prolungamento delle rateazioni concesse dall’Istituto fino a 36 mesi in "casi eccezionali", rende indispensabile una riconsiderazione dei casi in cui la rateazione può protrarsi fino a 36 mesi per distinguerli da quelli in cui può durare fino a 60 mesi.

La citata circolare ministeriale, di conseguenza, chiarisce che l’autorizzazione viene concessa dagli organi di governo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e che l’estinzione del debito in 36 mensilità può essere consentita ai debitori, qualora il mancato o ritardato pagamento sia dipeso da:

  • calamità naturali in occasione delle quali siano stati emessi gli appositi decreti di sospensione dei termini ;
  • procedure concorsuali per le quali sia già stato emanato il provvedimento dichiarativo;
  • carenza temporanea di liquidità finanziaria derivante da ritardato introito di crediti maturati nei confronti di pubbliche amministrazioni dello Stato o di Enti Pubblici derivanti da obblighi contrattuali ovvero da ritardata erogazione di contributi e finanziamenti previsti per legge o convenzione;
  • ricorrenza di uno stato di crisi aziendale dovuto a contrazione o sospensione dell'attività produttiva per eventi transitori non imputabili all'azienda, di situazioni temporanee di mercato, di crisi economiche settoriali o locali o di un processo di riorganizzazione, ristrutturazione e riconversione aziendale;
  • trasmissione agli eredi di debiti contributivi;
  • carenza temporanea di liquidità finanziaria connessa a difficoltà economico sociali, territoriali o settoriali;
  • contestuali richieste di pagamento di contributi dovuti a vario titolo ed aventi scadenze concomitanti. Costituiscono esempio di tale fattispecie il pagamento dei contributi correnti unitamente alle rate di condono, i contributi correnti unitamente al recupero rateale dei contributi sospesi a seguito di calamità naturali; la contribuzione dovuta alle gestioni dei lavoratori autonomi e le rate di contribuzione dovuta, quale datore di lavoro, per le assicurazioni obbligatorie ecc.;
  • debiti complessivi di ammontare non inferiore a 10 milioni in presenza di una precaria situazione reddituale, risultante da documentazione fiscale.

La regolarizzazione in 60 mensilità, deve essere autorizzata con Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’ Economia e Finanze ed è espressamente prevista soltanto se il mancato pagamento è dipeso da:

  • oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo, successivamente riconosciuto in sede giurisprudenziale o amministrativa. Ciò che qualifica la fattispecie non è soltanto l'obiettiva incertezza in sé, sulla quale si sia formato un costante orientamento giurisprudenziale, ma occorre che le incertezze derivanti dalla novità e complessità delle norme, dai diversi e contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi abbiano dato origine ad un convincimento obiettivo ed inesatto circa la sussistenza dell'obbligo contributivo che successivamente è stato riconosciuto, in via definitiva, in sede giurisprudenziale o amministrativa. Il Ministero, a titolo esemplificativo, esclude dal prolungamento della rateazione sia le ipotesi in cui si sostenga un’interpretazione inverosimile della norma, sia le ipotesi in cui esista un consolidato orientamento giurisprudenziale o amministrativo sulla ricorrenza dell’obbligo assicurativo.fatto doloso del terzo denunciato all’Autorità giudiziaria entro il termine di cui all’art.124 c.1 del codice penale e semprechè l’interessato esibisca certificazione dell’autorità giudiziaria che attesti la pendenza del procedimento instaurato con la denuncia.

La procedura da seguire per ottenere il beneficio del prolungamento della rateazione a 60 mensilità è la stessa già utilizzata per la rateazione in 36 mesi, descritta nella circolare del Ministero del Lavoro n. 31 del 25 maggio 2000 ed avente ad oggetto lo snellimento della fase istruttoria del procedimento di autorizzazione ministeriale.

L’Istituto, in attuazione delle disposizioni ivi contenute, ha emanato la circolare n.110 del 7 giugno 2000, per variare l’iter amministrativo descritto nella precedente circolare n.192 del 29 ottobre 1999 con la quale fu portata a conoscenza delle strutture periferiche la delibera del Consiglio di Amministrazione n.471 del 12 ottobre 1999, che ha decentrato ai Direttori Regionali la competenza a decidere le domande di rateazione fino a 24 rate e ad esprimere il proprio parere al prolungamento della rateazione fino a 36 mensilità.

Come già disposto, si ribadisce che il Direttore Regionale ha l’obbligo di predisporre e di firmare una relazione dettagliata e completa attestante:

  • i dati anagrafici della ditta;
  • l’importo del debito contributivo e il relativo periodo di riferimento;
  • le cause che hanno determinato la omissione contributiva (quali ad esempio: il mancato incasso di crediti maturati nei confronti di Enti pubblici, le calamità naturali verificatesi, i fatti dolosi accertati giudizialmente);
  • la situazione finanziaria dell’azienda da cui desumere la solvibilità del credito;
  • la specificazione che la concessione della dilazione a 36 mesi, oltre a costituire l’unica possibile alternativa per il recupero del credito, contribuisce a favorire sia il riassetto finanziario ed economico dell’azienda, che il mantenimento dei livelli occupazionali;
  • la specificazione, relativamente alle rateazioni proposte per 60 mensilità, delle incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi che hanno determinato il credito dell’Istituto;
  • l’attestazione che il procedimento giudiziario inteso all’accertamento del fatto doloso del terzo sia pendente, come richiesto nella circolare ministeriale n.41/2001;
  • il tipo di garanzia presentata a tutela del credito e la dichiarazione che il debitore è in regola con i versamento delle rate e dei contributi correnti;

La relazione deve contenere il parere del Direttore Regionale che, in base alle risultanze dell’istruttoria condotta dalla Sede competente, potrà essere favorevole o sfavorevole al prolungamento della rateazione.

La relazione, firmata dal Direttore Regionale che se ne assume la piena responsabilità, deve essere trasmessa al Ministero unitamente alla domanda di rateazione, avendo cura di evitare l'invio di documentazione, quale bilanci, elenco dei debitori della ditta o altro, in base alla quale il predetto dirigente ha raggiunto il proprio convincimento circa l’opportunità di prolungare la rateazione.

I Direttori delle strutture periferiche dovranno porre particolare cura nel controllare che le domande di rateazione siano compiutamente istruite in modo da evitare successive richieste di informazioni o rilievi da parte degli uffici ministeriali.

La problematica descritta merita attenzione anche in considerazione del fatto che, in futuro, le rateazioni non accompagnate da una relazione esauriente e dal parere oppure trasmesse con la documentazione di parte, ma prive del parere del Direttore Regionale, saranno restituite dal Ministero, con l’unico effetto di procrastinarne il momento decisorio.

Domande di rateazione su cartella esattoriale: versamento degli acconti

La delibera del Consiglio di Amministrazione n.288 dell’11 aprile 1995 e successive modifiche, che regola le rateazioni, prescrive che gli acconti mensili da versare in attesa della decisione della domanda debbono essere pari alla rata proposta, (si determina applicando al debito comprensivo delle sanzioni un coefficiente calcolato in base al numero delle rate richieste e al tasso di dilazione), e comunque, in misura non inferiore ad un dodicesimo del debito per soli contributi.

Le domande, quindi, debbono essere accompagnate da un primo acconto non inferiore ad un dodicesimo del debito contributivo; la possibilità di versare un acconto inferiore al 12° dei contributi o di non versare affatto le rate provvisorie, non è esclusa a priori, ma deve essere espressamente richiesta e motivata adeguatamente.

Prima del decentramento alle Sedi Regionali, era prassi del Consiglio di Amministrazione deliberare, unitamente all'accoglimento della domanda, anche sulla richiesta di esonero totale o parziale dal versamento delle rate provvisorie, qualora la situazione debitoria del richiedente si presentasse particolarmente delicata ed imponesse l’adozione di provvedimenti eccezionali ai sensi del punto 10 della delibera del C. d. A. n. 288 citata. L’approvazione aveva effetti sull’importo della prima rata in contanti che non comprendeva il totale di tanti acconti mensili quanti erano i mesi trascorsi tra la data e l’accoglimento della domanda, mentre il rifiuto comportava che, all’atto della sottoscrizione del piano di ammortamento, il debitore pagasse anche tutti gli acconti non versati nelle more della decisione.

Tenuto conto che l’attribuzione ai Direttori Regionali del potere decisorio, non ne ha modificato i principi, si ritiene che non sussistano impedimenti al riconoscimento agli stessi della facoltà di esonerare parzialmente o totalmente i debitori dal versamento delle rate provvisorie e con le stesse modalità.

Modalità di invio e sottoscrizione delle domande di rateazione

Il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa emanato con D.P.R. 28.12.2000 n.445, pubblicato sul supplemento ordinario alla G.U. n.42 del 20.02.2001 definisce, all'art.1, l'ambito di applicazione della norma ed elenca gli atti la cui formazione, rilascio e sottoscrizione sono disciplinate ex novo.

Fra questi assumono particolare rilevanza per l'Istituto le istanze presentante per ottenere autorizzazioni ( ad es. le domande di rateazione) o prestazioni rientranti nella specifica competenza e le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà.

L'art.38 del T.U. citato, che ha per oggetto le modalità d'invio e di sottoscrizione delle istanze, dispone al comma 1, che le istanze e le dichiarazioni da presentare alla Pubblica Amministrazione possono essere inviate anche per fax o in via telematica. Queste ultime, ai sensi del comma 2, sono valide se sottoscritte mediante firma digitale o quando il sottoscrittore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica.

Quelle presentate con altri mezzi, tra le quali vanno ovviamente comprese sia le istanze presentate direttamente agli sportelli dell'Istituto, sia quelle inviate per posta o per fax, sono disciplinate dal comma 3.

Quest’ultimo dispone che le istanze e le dichiarazioni da produrre alla P.A, ai gestori o agli esercenti un pubblico servizio sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto oppure sono sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia va inserita nel fascicolo e sia le istanze, che la copia del documento possono essere anche inviate per via telematica.

L’art.45 dello stesso T.U. inoltre, nel disporre che gli interessati possano provare la propria identità, cittadinanza, stato civile e residenza mediante l’esibizione di documenti e che la P.A. deve astenersi dal chiedere i relativi certificati, arriva anche a stabilire che stati, qualità personali o fatti contenuti in un documento, possono essere da questo comprovati anche se scaduto di validità, purchè l’interessato dichiari, in calce alla copia fotostatica, che non ci sono state variazioni successivamente alla data di rilascio del documento.

In applicazione delle norme illustrate, le strutture periferiche potranno accettare le domande di dilazione sia nel caso in cui l’interessato possa firmarle, in presenza dell’impiegato cui sarà esibito il documento di identità, sia nel caso in cui la domanda sia presentata da un terzo e già sottoscritta. In quest’ultimo caso l’addetto alla ricezione della dilazione dovrà farsi rilasciare copia fotostatica del documento d’identità della persona che ha apposto la firma. Restano, ovviamente, necessarie le indagini miranti ad accertare che la persona incaricata sia munita della delega per l’atto da compiere o appartenga a categorie professionali abilitate. Sono da considerare regolari anche le domande inviate per posta o per fax già sottoscritte dall’istante, purchè accompagnate dalla copia fotostatica non autenticata di un documento d'identità del sottoscrittore. Qualora tale documento fosse scaduto, occorre richiedere anche la dichiarazione che qualità personali, stati e fatti risultanti dal documento scaduto non sono cambiati. La copia del documento va inserita nel fascicolo perché sia disponibile qualora l'Istituto voglia esercitare la facoltà di verificare l'autenticità e la veridicità dei dati in essa contenuti.

Poiché, ai sensi dell’art.21, l’autenticità della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto notorio è garantita dalle modalità contenute nell’art.38 già illustrato, si dispone che la firma apposta alla domanda di dilazione non debba più essere autenticata.

Ciò deriva direttamente dal secondo comma dell’art.21 laddove prescrive che l’autenticazione della firma apposta ad una dichiarazione o ad una istanza è necessaria, solo se è presentata ad Organi diversi dalle amministrazioni pubbliche o se, pur essendo stata presentata alla P.A., deve essere utilizzata per la riscossione di benefici economici da parte di terzi.

Si allega il testo aggiornato della domanda di rateazione.

Decesso del contribuente: regime sanzionatorio

Nella circolare n.210 del 13.12.2000, al capo C1, è stato illustrato il principio, vigente in tema di riscossione di imposte e tasse, secondo il quale gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa (art.65 D.P.R. 600/73). Ad una prima valutazione è sembrato possibile estendere il principio, se non all'obbligo contributivo, almeno agli accessori dell'obbligazione principale e cioè alle sanzioni civili maturate fino alla data del decesso.

Sulla questione si è successivamente pronunciata l' Avvocatura centrale formulando il parere che segue:

"in tema di contributi previdenziali, l'obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento, costituisce conseguenza automatica dell'inadempimento o del ritardo, in funzione di rafforzamento dell'obbligazione contributiva e di predeteminazione legale, con presunzione iuris et de iure, del danno cagionato all'ente previdenziale; pertanto, non è consentita alcuna indagine sull'elemento soggettivo del debitore della contribuzione al fine dell'esclusione o della riduzione dell'obbligo suddetto" ( Cass.n.5088/1995 ed altre).

Pertanto la somma aggiuntiva ha funzione risarcitoria e non afflittiva o sanzionatoria ed, in quanto tale, si configura come sanzione civile e nessun rilievo giuridico può essere attribuito alla volontà del debitore di non adempiere. Il carattere civile di tale obbligazione comporta, come necessaria conseguenza, la sua trasmissione agli eredi.

La regola generale per ogni tipo di successione è quella della trasmissibilità delle situazioni giuridiche patrimoniali. Tale regola conosce eccezioni tra le quali vanno annoverati alcuni diritti reali e i rapporti cosiddetti "intuitu personae", cioè quelli legati ad un certo modo di essere del soggetto obbligato. Quindi l’intrasmissibilità agli eredi di un obbligazione pecuniaria si verifica solo qualora tale obbligazione, per la sua conformazione normativa, sia ricompresa nella categoria di quelle situazioni giuridiche obbligatorie che, per la loro stretta inerenza alla persona del titolare, sono destinate a cessare con la morte dell’obbligato.

La funzione risarcitoria ed il connesso carattere civile dell’obbligazione costituita dalle somma aggiuntive dovute in seguito all’omesso o ritardato pagamento dei contributi comporta, come corollario della sua trasmissibilità agli eredi, la maturazione delle stesse somme aggiuntive dal decesso fino alla data di effettivo pagamento da parte dell'avente causa.

Tale soluzione trova, inoltre, una ulteriore conferma nel principio, espressamente affermato dai Giudici di legittimità, in base al quale " il debito ereditario di cui all'art.752 c.c. è quello esistente in capo al "de cuius" al momento della sua morte, - che si trasmette, insieme al suo patrimonio, ai suoi successori, "ex lege" o per testamento, ripartendosi automaticamente tra di loro- e ricomprende sia la somma capitale, sia gli interessi, il cui maturarsi giorno per giorno non trova un limite temporale nella morte del debitore"( Cass 10.1.2000 n.562).

La conclusione non solo scaturisce dalla natura giuridica dell'obbligazione delle somme aggiuntive, ma è anche confermata dal fatto che non sembra che nel sistema previdenziale vi sia la previsione di una specifica ed espressa deroga a favore dell'erede di soggetto debitore di obbligazioni contributivo- previdenziali.

In altri termini, l'introduzione del nuovo sistema di riscossione dei contributi previdenziali a mezzo ruoli, non ha affatto inciso sulla natura giuridica del credito contributivo, né - di conseguenza- ha mutato i criteri di determinazione, nonché di calcolo degli accessori dello stesso.

La trasmissibilità agli eredi dei debiti contributivi INPS in parole semplici

Come funziona, dunque, in parole povere, la trasmissibilità agli eredi dei debiti contributivi INPS, in parole semplici.

C'è poco da fare, gli eredi devono pagare e, devono pagare anche le sanzioni (le quali, in generale non si trasmetterebbero agli eredi).

Per quanto attiene alle sanzioni da violazione contributiva commesse dal de cuius, con la circolare del 22 agosto 2001 numero 165 l'INPS le ha equiparate alle sanzioni civili e, quindi, trasmissibili agli eredi.

La natura civilistica della sanzione si ricava dall'articolo 116 della legge finanziaria del 2001 che ha definito «sanzione civile» quella per violazioni relative a versamento di contributi e premi.

Quindi non solo è trasferibile agli eredi, ma sono altresì dovute le somme aggiuntive maturate fino alla data del pagamento.

La sentenza numero 562 del 2000 della Cassazione, confermando l'orientamento dell'Inps, ha stabilito, tra l'altro, che il debito si trasmette agli eredi e ricomprende la somma capitale e i relativi interessi, «il cui maturarsi giorno per giorno non trova un limite temporale nella morte del debitore».

Quanto sopra, salvo il diritto degli eredi di rinunciare all'eredità.

15 Dicembre 2016 · Andrea Ricciardi


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2 risposte a “Trasmissibilità agli eredi dei debiti contributivi INPS » L’unica salvezza è la rinuncia all’eredità”

  1. Enrico ha detto:

    Non esistendo attività in successione ma solo un debito INPS per contributi, rinuncia all’eredità la moglie, l’unico figlio, non ci sono genitori in vita, solo un fratello ed una sorella, sposati con figli. Sino a quale grado di parentela occorre fare la rinuncia alla eredità?

    • Anche i discendenti in linea retta dei fratelli e delle sorelle del defunto devono rinunciare all’eredità in quanto subentrano nell’asse ereditario ai discendenti e al coniuge del defunto che hanno rinunciato.

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