L’indennità di accompagnamento corrisposta agli invalidi non può rientrare nel calcolo del reddito ai fini ISEE

Com'è noto, il DPCM 159/13 ha rivisto le modalità per la determinazione ed i campi d’applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). In particolare, le nuove misure hanno incluso, nella definizione di reddito disponibile pure l'indennità di accompagnamento e i trattamenti risarcitori percepiti dai disabili a causa della loro accertata invalidità e volti ad attenuare tal oggettiva situazione di svantaggio.

Inoltre, la nuova normativa opera una differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest'ultimi, senza considerare l'effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.

Per i giudici del Consiglio di Stato (sentenza 842/16), tuttavia, ricomprendere tra i redditi per il calcolo dell'ISEE l'indennità di accompagnamento percepita dal disabile, significa considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una remunerazione del suo stato di invalidità.

In altre parole, l'indennità di accompagnamento o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com'è in uno stato di svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. L'indennità di accompagnamento o il risarcimento non determinano infatti una migliore situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale. Pertanto, la capacità selettiva dell’ISEE, se deve discriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l’artificio di definire reddito un’indennità di accompagnamento o un risarcimento, ma deve considerarli per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile.

Per quanto attiene, invece, l'entità della franchigia applicabile al reddito del nucleo familiare del disabile minorenne e non a quello del nucleo familiare del disabile maggiorenne, i giudici di Palazzo Spada hanno rilevato l’irrazionalità e l’illogicità del trattamento differenziato. Infatti, quantunque il maggiorenne disabile possa far nucleo a sé stante, la maggior età in sé non abbatte i costi della disabilità: anzi, la disabilità tende a crescere man mano che il soggetto avanza nell’età.

2 Marzo 2016 · Tullio Solinas