Giurisprudenza e diritti degli immigrati

La garanzia del diritto fondamentale alla salute del cittadino straniero, che comunque si trovi nel territorio nazionale, impedisce l’espulsione nei confronti di colui che dall'immediata esecuzione del provvedimento potrebbe subire un irreparabile pregiudizio, dovendo tale garanzia comprendere non solo le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita. Il principio di diritto è stato sancito dai giudici della Corte di cassazione nella sentenza 13252/2016, che ha accolto l’impugnazione proposta da una cittadina peruviana che aveva visto respingere dal giudice di pace il ricorso avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti, laddove denunciava la violazione di alcune norme di diritto, derivanti dalla necessità di osservare un rigido protocollo post-operatorio in seguito a un intervento chirurgico.

Cittadini italiani residenti in Italia e stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, sono equiparati ai fini del diritto alle prestazioni assistenziali, quali soprattutto l’assegno sociale, senza richiedere, in aggiunta, il requisito della stabile dimora in Italia (Cassazione sentenza 17397/2016). Diversamente, in tema di provvidenza destinata a far fronte al sostentamento della persona, si violerebbe l'obbligo di non discriminare cittadini italiani e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, in contrasto con il principio sancito dall'articolo 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Infatti, se l'allontanamento anche solo temporaneo dello straniero comportasse il venir meno del diritto alla prestazione verrebbe sancita la diversità della posizione dello straniero extracomunitario rispetto al cittadino italiano.

Come sappiamo, la carta di soggiorno è un documento che permette anche ai familiari di un cittadino straniero, dotato di permesso di soggiorno, di restare in Italia. Orbene, il cittadino straniero, titolare del solo permesso di soggiorno, ha il diritto di vedersi attribuire l'indennità di accompagnamento, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge anche se non è in possesso della carta di soggiorno (Cassazione sentenza 0593/2016). Infatti, per i supremi giudici, subordinare l'erogazione di prestazioni assistenziali al possesso della carta di soggiorno, quando il solo permesso di soggiorno attesta già i requisiti di carattere non episodico, e di non breve durata, di presenza nel nostro paese, costituirebbe un elemento ingiustificatamente discriminatorio, limitando agli stranieri il godimento di quei diritti fondamentali della persona invece riconosciuti ai cittadini italiani.

Requisito essenziale per il riconoscimento dello status di rifugiato allo straniero extracomunitario, è il fondato timore di persecuzione personale e diretta nel Paese d'origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell'appartenenza ad un gruppo sociale, ovvero per le opinioni politiche professate: il relativo onere probatorio incombe sull'istante, per il quale è tuttavia sufficiente provare, anche solo in via indiziaria, la credibilità dei fatti segnalati. Così Corte di cassazione nella sentenza 14157/2016. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità (26641/2016) chiarisce che la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto che l'immigrato extracomunitario versi in cattive condizioni di salute, occorrendo invece che tale condizione sia l'effetto della grave violazione dei diritti umani dell'interessato nel paese di provenienza.

In tema di immigrazione, il decreto di espulsione emesso nei confronti dello straniero avente figli minori, che abbia omesso di chiedere, nei termini di legge, al tribunale per i minorenni il rinnovo dell’autorizzazione al soggiorno per gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico degli stessi, è illegittimo per violazione della clausola di salvaguardia della coesione familiare ove non contenga alcun riferimento alle motivazioni er cui non è stata presa in considerazione la sua situazione familiare (Cassazione, sentenza 3004/2016).

Il coniuge extracomunitario del cittadino italiano (o di altro Stato membro dell'Unione Europea), dopo aver trascorso nel territorio nazionale il trimestre di soggiorno informale, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno restando soggetto, sino al momento in cui non ottenga tale titolo (avente valore costitutivo per l'esercizio dei diritti nell'Unione Europea) alla disciplina dettata dalla legislazione nazionale e, segnatamente, alla norma in virtù della quale, ai fini della concessione e del mantenimento dei permessi di soggiorno per coesione familiare, è imposta la sussistenza del requisito della convivenza effettiva. Nella specie, la Corte di Cassazione (sentenza 13831/2016,) aveva confermato il provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per coesione familiare, in quanto era emerso che la ricorrente, allontanatasi dal territorio nazionale poco dopo la celebrazione del matrimonio, vi aveva fatto ritorno dopo oltre nove anni, senza mai intraprendere la convivenza con il marito.

L'attribuzione della tutela su di un minore extracomunitario per via negoziale è inidonea all'accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare, non essendo tale tutela equiparabile a quella disciplinata dal diritto italiano, giudizialmente disposta in favore dei minori privi di genitori in grado di esercitare nei loro confronti la responsabilità genitoriale e, dunque, di rappresentarli legalmente. Nella specie (sentenza 10072/2016) la ricorrente chiedeva il ricongiungimento con la nipote, minorenne, dal cui padre le era stata concessa la tutela in virtù di un mero contratto stipulato fra le parti.

Il provvedimento di espulsione dello straniero è obbligatorio e a carattere vincolato, sicché il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare la sussistenza, al momento dell'espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l'emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta, in assenza di cause di giustificazione, del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento ovvero nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego. In particolare, al giudice investito dell'impugnazione del provvedimento di espulsione non è consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo. Così Corte di cassazione nella sentenza 12976/2016.

Il provvedimento di espulsione, emesso a seguito di reingresso irregolare dello straniero nel territorio dello Stato italiano, ha carattere di automaticità (Cassazione, sentenza 18540/2016). Il provvedimento espulsivo del prefetto è sindacabile solo ove gli accertamenti di fatto su cui il provvedimento di espulsione è fondato siano erronei o mancanti, o il cittadino straniero non abbia potuto esercitare la propria opzione in ordine alla richiesta di rimpatrio mediante partenza volontaria. Né tale decreto può essere dichiarato illegittimo solo perché esso non contenga un termine per la partenza volontaria, in quanto tale mancanza può incidere sulla misura coercitiva adottata per eseguire l'espulsione, ma non sulla validità del provvedimento espulsivo.

La spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza non consente l'espulsione automatica, che può essere disposta solo se la domanda sia stata respinta per la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno dello straniero sul territorio nazionale (Cassazione sentenza 12713/2016).

29 Ottobre 2017 · Roberto Petrella




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