Minacciare il lavoratore che non sottoscrive una falsa busta paga integra il reato di estorsione

Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro il quale, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i propri dipendenti, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare inducendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate.

Si tratta del principio di diritto enunciato dai giudici della Corte di cassazione, sezione penale, con la sentenza 45413/18.

La vicenda portata all'attenzione dei giudici di legittimità riguardava un lavoratore regolarmente assunto con contratto a tempo indeterminato, con l'accordo che lo stipendio erogato per i primi sei mesi non sarebbe stato quello indicato in busta paga, ma inferiore, e che successivamente il trattamento salariale sarebbe stato regolarizzato; condizioni accettate dal lavoratore in considerazione delle necessità di sostentamento della famiglia. Allo scadere del periodo convenuto, alla richiesta di integrale versamento delle sue spettanze, il datore di lavoro aveva, però, negato l'adeguamento, minacciando il proprio dipendente di licenziamento se non avesse accettato le condizioni imposte.

Vale la pena ricordare, in proposito, che proprio per prevenire e contrastare simili abusi, la legge di bilancio 2018 (legge 205/2017) ha introdotto l'obbligo per i datori di lavoro (obbligo entrato in vigore a partire da lunedì 2 luglio 2018) di corrispondere lo stipendio ai propri dipendenti con modalità tracciabile, quindi con assegno consegnato direttamente al lavoratore, con bonifico bancario, o anche in contanti - ma esclusivamente attraverso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria, con mandato di pagamento - indipendentemente all'importo in busta paga (quindi anche per un livello retributivo inferiore o uguale ai mille euro). Restano esclusi dall'applicazione della normativa soltanto le colf, le baby sitter, le badanti e gli apprendisti in stage.

Il legislatore ha inteso, così, prevenire gli abusi ed evitare le truffe delle cosiddette false buste paga, cioè il fenomeno per cui gli imprenditori scorretti corrispondono al lavoratore retribuzioni inferiori a quanto previsto dalla busta paga magari, sotto il ricatto del licenziamento (come abbiamo visto) o della mancata assunzione a tempo indeterminato. Nella norma è stato anche precisato che la sola sottoscrizione della busta paga da parte dei lavoratori non costituisce più prova del pagamento dello stipendio.

14 Ottobre 2018 · Tullio Solinas