Il debitore sottoposto ad azione esecutiva ha diritto ad un equo indennizzo per la durata irragionevole della procedura di espropriazione?
Sul diritto del debitore sottoposto ad azione esecutiva ad ottenere, l'equa riparazione prevista dalla normativa vigente (legge Pinto) a causa della durata irragionevole del processo di espropriazione a suo carico, la giurisprudenza di legittimità, inizialmente, ha ritenuto che anche il debitore sottoposto ad azione esecutiva fosse legittimato a richiedere l'indennizzo per l’irragionevole protrarsi del processo esecutivo, a motivo del patema d’animo che ogni pendenza processuale provoca.
Successivamente, invece, è andato consolidandosi un diverso orientamento, secondo il quale il debitore sottoposto ad azione esecutiva, sebbene sia parte del processo esecutivo, non è necessariamente percosso dagli effetti negativi di un'esecuzione forzata di durata irragionevole. Egli, essendo proprietario dell'immobile pignorato, non ha alcun interesse al rapido svolgimento della procedura e, anzi, risulta avvantaggiato del suo protrarsi, avendo mantenuto, medio tempore, il possesso giuridico del bene. I giudici di legittimità hanno poi argomentato che, comunque, all'esito finale del processo esecutivo il debitore sottoposto ad azione esecutiva ritrae essenzialmente un (giusto) danno patrimoniale.
Pertanto, il debitore sottoposto ad azione esecutiva, per rivendicare il presunto danno non patrimoniale derivante dalla eccessiva pendenza del processo, ed ottenere un'equa riparazione, ha l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza di uno specifico suo interesse ad una espropriazione celere.
Così hanno risposto, al questo proposto nel titolo, i giudici della Corte di cassazione attraverso la sentenza 1812/2018.