Due testamenti olografi – Una matassa difficile da dipanare


Debiti ed eredità, eredità e successione

Testamento olografo redatto aprile 2000 in cui il testatore, veramente nel pieno possesso delle sue facoltà, nominava erede universale il coniuge in quanto i due figli, avendo già ricevuto la propria quota di legittima, sottoscrivevano una scrittura privata intercorsa tra loro e il testatore con la quale si dava assenso a quanto già ricevuto con dichiarazione di non avere più nulla a pretendere.

Successivo testamento olografo in cui il testatore, con tremolii nel gesto grafico, ripudiando inspiegabilmente il coniuge ancora vivente, nominava eredi due nipoti – figli del figlio escluso nel testamento perché oberato da ingenti debiti – e la rimanente figlia.

A seguito di tale disposizione testamentaria, le quote di eredità- un terzo ai nipoti, un terzo alla figlia e un terzo al figlio leso nella legittima, salvo azione dei creditori, si devolvono diversamente rispetto alla successione legittima, pari al cinquanta per cento cadauno, essendo nel frattempo deceduto il coniuge.

Si evidenzia che il testatore, sia per le condizioni di salute (Alzheimer, per cui è stato riconosciuto dall’INPS l’indennità di accompagnamento presentando invalidità totale e permanente al cento per cento), l’età e lo stato psichico, già ricoverato con il coniuge in case di cura peraltro diverse, è stato influenzato dal figlio con mezzi fraudolenti per indurlo a disporre in maniera difforme da quello già deciso.

Pertanto, si vorrebbe impugnare il secondo testamento, messo fuori dal figlio, per captazione o quant’altro. Cosa suggerite?

Entrambi i testamenti – il primo, che nomina il coniuge superstite erede universale ed il secondo, che esclude il coniuge superstite dall’eredità – sono impugnabili per violazione della quota di legittima.

Per quanto riguarda il primo testamento, al coniuge superstite, infatti, sarebbero spettati al massimo 1/4 del patrimonio disponibile (la quota di cui il defunto poteva disporre, per testamento, non destinandola ai legittimari) e 1/4 in qualità di erede legittimo, mentre la metà del patrimonio avrebbe dovuto essere diviso fra i figli del defunto. In sostanza il patrimonio del defunto andava attribuito per la metà al coniuge superstite e par la metà ai due figli.

Per quanto attiene il secondo testamento 1/4 (minimo) del patrimonio andava attribuito al coniuge superstite ed i 3/4 (al massimo) ai figli.

Peraltro, per affermare l’esistenza della captazione non basta una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato (Cass. n. 2122/1991). E ne occorre prova.

Ora, volendo ritenere valido l’ultimo testamento (se non si vogliono attendere anni per l’accertamento della presunta captazione della volontà del testatore), gli eredi del coniuge superstite potrebbero comunque promuovere azione giudiziale per la reintegrazione della quota di eredità legittima spettante al coniuge superstite: con la cosiddetta riunione fittizia il giudice stabilisce l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determina il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso (il coniuge superstite).

In questa fase gli eredi del coniuge superstite potrebbero chiedere, avendone prova, la riduzione delle disposizioni testamentarie richiamando le donazioni ai figli effettuate in vita dal testatore.

A questo punto è evidente che, se non si vuole devolvere l’eredità agli avvocati delle due parti, converrebbe che gli eredi del coniuge superstite ed i figli del de cuius raggiungessero un accordo transattivo: una buona base di partenza potrebbe essere costituita dalla divisione del patrimonio secondo le regole vigenti in assenza di testamento, chiudendo un occhio sulle donazioni effettuate in vita dal de cuius a beneficio dei due figli.

In pratica, un terzo del patrimonio relitto andrebbe al coniuge superstite e due terzi verrebbe diviso fra i figli del defunto, o i loro discendenti. Tanto più che gli eventuali eredi del coniuge superstite, in assenza di una transazione ragionevole, potrebbero allertare i creditori del figlio erede debitore: ed allora sarebbero guai seri perché i creditori, per entrare in possesso della quota di eredità spettante al proprio debitore, non avrebbero neanche bisogno di impugnare la sua eventuale rinuncia all’eredità.

12 Maggio 2018 · Annapaola Ferri

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