DOMANDA
La Pubblica amministrazione si rinnova e punta sul digitale, ma i costi della trasformazione sono a carico dei cittadini.
E se i benefici dell’utilizzo delle piattaforme online sono evidenti per chi incassa i tributi e gestisce i servizi, semplificando le procedure e facendo risparmiare soldi, per i contribuenti invece capita che la svolta si traduca in un aumento secco della spesa, senza altri vantaggi, nemmeno di tempo.
Sbaglio?
RISPOSTA
Quella da Lei espressa è un’impressione condivisa da tanti utenti che in questi ultimi mesi, per la prima volta, si sono trovati a dover saldare un tributo o un servizio con PagoPa, il nuovo sistema di pagamenti elettronici messo in piedi dallo Stato per rendere più efficienti e trasparenti i versamenti. Non solo agli enti locali, ma anche alle aziende pubbliche, alle Asl, all’Inps, all’Agenzia delle entrate e all’Aci per il bollo auto. Finora ogni amministrazione faceva più o meno come voleva quando si trattava di incassare multe o tasse. Gli accordi, e i costi, sia per il cittadino che per il gestore del servizio o della tassa, potevano dunque variare parecchio. E se un ente sceglieva un solo canale, per esempio le Poste, non c’era alternativa. Quello che avveniva quasi sempre però era che il costo dell’esazione se lo prendeva in carico l’amministrazione. Da quando il governo ha deciso invece di obbligare tutte le amministrazioni a usare PagoPa – inizialmente la data era stata fissata al primo luglio scorso, poi prorogata al prossimo 28 febbraio – la spesa è stata trasferita sui contribuenti. Si tratta di pochi euro, a volte qualche decina di centesimi, che però su certi pagamenti significano una commissione in percentuale molto alta. E che comunque considerato il volume di transazioni – PagoPa quest’ anno si aspetta di gestirne 90 milioni – fanno una discreta cifra. Con una media di 90 centesimi a operazione – ma si può spendere anche più di due euro – si arriva a 81 milioni in un anno. Ma entro il 2023 l’obiettivo è di salire a 350 milioni di operazioni, che per gli intermediari corrispondono a oltre 300 milioni di ricavi. Commissioni che si dividono soprattutto tre soggetti: Sisalpay con la rete gestita dai tabaccai, Poste e banche. «Le piattaforme hanno un costo – dice chiaro Gianfranco Torriero, vice direttore generale dell’Abi, l’associazione che riunisce gli istituti di credito italiani -. Prima di PagoPa il costo del pagamento veniva sostenuto dalla Pubblica amministrazione. Ora è a carico dell’utente, in ragione del servizio offerto dalla Pa. La percezione è che la richiesta venga dalla banca, ma in realtà è la Pubblica amministrazione che non sostiene più il costo». «Fino al 2016 le tasse si pagavano in alcuni casi con le commissioni e in altri no – fanno notare da PagoPa -. Il cittadino non li vedeva, ma i costi c’erano anche prima. Ora, da Trento a Pachino, tutti hanno lo stesso sistema, le commissioni sono trasparenti e il contribuente può scegliere con chi versare».
Insomma, insistono, il sistema è appena partito, si sta adattando e ci saranno amministrazioni che faranno pagare i cittadini e altre che si accolleranno le commissioni. La concorrenza poi, aggiungono, farà scendere i prezzi. Forse. Per ora si paga. «Siamo favorevoli ai pagamenti digitali, anche perché aiutano a combattere l’evasione – sottolinea Luigi Gabriele, presidente di Consumerismo, associazione che ha ricevuto una raffica di segnalazioni contro le commissioni del sistema PagoPa -. Ma devono essere disintermediati, ossia il cittadino deve poter versare i soldi direttamente nelle casse della Pa». Un caso esemplare è quello della Tari a Roma, arrivata in queste ultime settimane a centinaia di migliaia di residenti. Finora si poteva versare con un bollettino Mav, di solito a costo zero per il contribuente, o con la domiciliazione bancaria, sempre senza pagare nulla. Da quest’ anno però il Campidoglio si è dovuto adeguare alle indicazioni del governo e ha trasferito tutto su PagoPa. Risultato: l’amministrazione non ha più alcun problema a ritrovare i pagamenti, che arrivano immediatamente e senza bisogno di doverli andare ad associare a chi ha fatto il versamento. Operazione a volte oggettivamente complicata. Ma il cittadino che non andava a fare la fila alla Posta ed era già abituato a saldare con la banca via web si è trovato costretto a versare un obolo che prima non c’era. Non solo. I circa 100 mila romani che avevano scelto la domiciliazione bancaria, ora dismessa con l’avvento di PagoPa, si devono anche ricordare di effettuare il pagamento. Che in precedenza lo faceva in automatico e gratis l’istituto di credito. In Comune comunque sono già al lavoro per realizzare un sistema che consenta di pagare direttamente all’ente, evitando le commissioni. Ma il volume di transazioni da gestire a Roma è molto imponente e ci vorrà tempo. Anche l’Inps è un ottimo esempio: prima si faceva carico del costo dei bollettini per i versamenti, ora invece la commissione la sborsa il contribuente.
3 Ottobre 2020 - Giovanni Napoletano
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