Pignoramento su conto corrente per titolare di partita iva con unico committente – Vale la stessa procedura prevista per i lavoratori dipendenti?

Il lavoratore autonomo con unico committente è assimilato al lavoratore dipendente per quel che attiene le azioni esecutive a cui viene assoggettato


DOMANDA

Sono un lavoratore autonomo con partita iva e collaboro prevalentemente con una sola azienda. Ora, mi è stato pignorato il conto corrente da parte di Agenzia delle Entrate Riscossione (AdER, ex Equitalia), o meglio all’inizio è stato pignorato l’intero importo presente sul conto, di circa 2. 500 euro, (ne devo circa 20. 000 all’Ade) però dopo 2 giorni il conto mi è stato sbloccato e riaccreditati 1. 200 euro, tale importo corrispondeva alla penultima fattura che avevo emesso nei confronti dell’azienda per cui lavoro e che mi era stato bonificato il giorno stesso del pignoramento. Quindi, con questa somma ho potuto operare, effettuando bonifici e altri pagamenti. Vi chiedo: ora l’azienda ha predisposto un altro bonifico di circa mille euro. Cosa devo aspettarmi, che la banca, come nel precedente riaccredito, mi lasci fruire di questo nuovo pagamento a mio favore, oppure incameri la somma, tutta o in parte, per girarla al creditore? La mia posizione viene equiparata a quella di un lavoratore dipendente/pensionato?


RISPOSTA

In giurisprudenza è ormai consolidato il caso del mandatario con contratto di mandato stipulato con un solo mandante, considerato alla stregua di un lavoratore dipendente per quel che attiene le azioni esecutive di pignoramento dei corrispettivi presso il mandante o in caso di pignoramento del conto corrente intestato al mandatario e sul quale i corrispettivi vengono accreditati, ma non ci era ancora nota la casistica di un qualsiasi lavoratore autonomo con prestazioni prevalentemente rese a favore di un solo committente. Grazie, allora, a chi ci consente di arricchire il nostro ambito di conoscenza.
Tornando alla questione di interesse, qualora, come risulterebbe dalle circostanze esposte, il professionista autonomo che lavora prevalentemente con un solo committente debba essere assimilato a un lavoratore dipendente per quel che riguarda le azioni esecutive a cui viene assoggettato dal concessionario della riscossione – peraltro, nulla potrebbe essere dedotto di diverso in base ai fatti riportati, considerando che per un soggetto diverso da un lavoratore dipendente e comunque, sempre, qualora il conto corrente pignorato non fosse quello di accredito dello stipendio, tutto il saldo disponibile in conto corrente, nonché tutti i successivi alla notifica del pignoramento, accrediti prima della chiusura del procedimento giudiziale, andrebbero assegnati al creditore procedente – allora, bisogna ricordare quanto stabilito dall’articolo 545 del codice di procedura civile, in merito al pignoramento di un conto corrente intestato ad un lavoratore dipendente, su cui viene accreditato lo stipendio.
Per quel che qui interessa la norma codicistica dispone che le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge (in sostanza, per quanto qui interessa, nei limiti del 20% per i crediti di natura ordinaria e del 10%, nella fattispecie, per i crediti di natura esattoriale – ndr).
Quindi la penultima fattura emessa nei confronti del committente, il cui importo era stato bonificato il giorno stesso della notifica del pignoramento, avrebbe dovuto essere decurtata del 10%, atteso che l’Agenzia delle Entrate Riscossione (AdER, ex Equitalia) trattiene il 10% sugli stipendi accreditati (quindi netti) fino a 2 mila e 500 euro.
Ed infatti, le cose verisimilmente potrebbero essere andate così: al momento della notifica del pignoramento erano disponibili 1300 euro circa, interamente assegnati al creditore procedente in quanto, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, gli emolumenti riconducibili ad un rapporto di lavoro dipendente o assimilato, possono essere pignorati, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento. Poiché, attualmente, il triplo del massimo importo attribuibile per l’assegno sociale è pari a 534,41 euro per 13 mensilità e 579 euro per dodici mensilità, il triplo è sicuramente superiore alla disponibilità in conto corrente ed allora ci siamo.
Concludendo, i 1200 euro accreditati dal committente il giorno stesso del pignoramento potevano essere pignorati del 10%, atteso che l’Agenzia delle Entrate Riscossione (AdER, ex Equitalia) trattiene, per legge, dopo la notifica del pignoramento, il 10% sugli stipendi accreditati (quindi netti) fino a 2 mila e 500 euro. Considerando che l’importo fatturato al committente poteva forse essere un pochino superiore a 1. 200 euro e l’importo restituito da AdER un tantino inferiore a 1. 200 euro, i conti tornerebbero.
Tutto sto discorso per giustificare le seguente nostra affermazione: nell’ipotesi che il conto corrente risulti ancora pignorato quando il committente effettuerà il prossimo accredito di circa mille euro, il giudice dovrebbe assegnare al creditore procedente il 10% dell’importo versato dal committente per le prestazioni rese dal debitore inadempiente. Qualora invece, ci fosse un nuovo pignoramento del conto corrente il cui saldo risultasse inferiore al triplo dell’importo massimo dell’assegno sociale, allora tutto il saldo disponibile (compresi gli eventuali mille euro accreditati dall’unico committente) verrebbe assegnato al creditore procedente.


8 Ottobre 2024 - Patrizio Oliva


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