Buoni pasto: sempre meno esercenti li accettano – Cosa fare?

Da qualche mese ormai sempre meno bar, ristoranti e supermercati accettano i buoni pasto: e dove li accettano ci sono sempre più restrizioni












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Oramai sempre meno esercenti accettano i buoni pasto per via delle elevate commissioni: vorrei sapere perché non si permette alle aziende di mettere quei soldi direttamente nelle buste paga dei lavoratori, senza perdere i benefici fiscali.

E’ tanto difficile?

Chi li prende, lo sa, da qualche mese ormai sempre meno bar, ristoranti, tavole calde e supermercati accettano i buoni pasto: e dove li accettano ci sono sempre più restrizioni sul numero massimo (in genere non più di otto), i giorni della settimana in cui si possono utilizzare (ad esempio non nei weekend) e talvolta si è costretti a pagare delle piccole commissioni per poterli usare.

Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Coop e Conad da tempo sono sul piede di guerra contro i buoni pasto, tanto che la loro protesta è culminata in uno sciopero sul loro utilizzo indetto lo scorso 15 giugno 2022.

La protesta ha portato all’incontro del 29 giugno 2022 tra le organizzazioni del settore e il viceministro del ministero dell’Economia.

Il risultato?

La proposta di mettere un tetto del 5% alle commissioni di incasso applicato dalle società che emettono buoni agli esercenti quando si tratta di buoni soggetti alle gare d’appalto della Pubblica Amministrazione.

Da tempo, infatti, le sigle del settore avevano chiesto di fermare le gare al massimo ribasso della Pubblica Amministrazione, causa principale della risalita delle commissioni fino al 20% e dell’erosione dei margini di guadagno degli esercenti.

Questa proposta è stata approvata dal Parlamento ed inserita nella legge di conversione del DL Aiuti e che, a nostro avviso, non risolve il problema.

Se dovesse continuare la tendenza degli esercenti a non accettare più i buoni come metodo di pagamento, il rischio per i lavoratori è che si trovino in tasca “soldi” che non possono più essere spesi (o spesi con molte difficoltà).

Il problema, quindi, è più complesso. Non riguarda peraltro solo i buoni pasto dei dipendenti della PA (1/3 del totale) ma anche le aziende private. Per questo motivo chiediamo al Governo che le aziende italiane possano scegliere anche la strada di mettere il corrispettivo dei buoni pasto direttamente nelle buste paga dei propri dipendenti, senza perdere i benefici fiscali di cui godono i buoni.

Lo Stato, infatti, concede vantaggi fiscali alle aziende che li acquistano per i loro dipendenti (permettendo loro di scaricare l’intero importo) ma anche ai lavoratori stessi che si ritrovano in tasca “soldi” che non contribuiscono ad aumentare l’imponibile per le tasse.

Questa condizione “di favore” ha fatto fiorire il giro d’affari dei buoni pasto, che oggi è stimato in 3,2 miliardi di euro.

Di recente, però, sempre più esercenti e parte della grande distribuzione vedono di cattivo occhio questo sistema di pagamento: il problema sono le elevate commissioni di incasso che bar, ristoranti e supermercati devono sborsare alle aziende che emettono i buoni (Edenred, Pellegrini, Sodexo…).

Commissioni in media comprese tra il 10% e il 20% del valore del buono: per una spesa di 10 euro, ad esempio, l’esercente ne incassa in pratica solo 8. Proprio per questo motivo la proposta del Ministero non è la soluzione: le commissioni di incasso le decidono le società che emettono buono pasto.

Sarebbe necessaria una modifica legislativa per far sì che il denaro arrivi direttamente in busta paga ai lavoratori mantenendo per aziende e dipendenti le agevolazioni fiscali oggi previste per i buoni pasto.

Per fare questo occorre rendere esentasse le indennità di mensa in busta paga per tutti i lavoratori fino ad un certo valore giornaliero; fino ad 8 euro come gli attuali buoni pasto elettronici o meglio fino a 10 euro per rendere il nuovo meccanismo più vantaggioso.

Attualmente, infatti, la non imponibilità della indennità di mensa è riservata solo ad alcune categorie di lavoratori e ha il limite di 5,29 euro al giorno. Estendendo l’indennità di mensa a tutti i lavoratori i vantaggi sarebbero evidenti per tutti.

I vantaggi sarebbero evidenti per i lavoratori che potrebbero vedere crescere i soldi disponibili in busta paga (peraltro al netto di tasse e contributi) e per i datori di lavoro che avrebbero benefici:

  • fiscali per la deducibilità delle somme erogate ai fini Ires ed Irap come peraltro accade per i buoni pasto;
  • amministrativi, visto che potrebbero gestire in modo più snello e semplice il capitolo di bilancio dedicato alle spese per i pasti dei dipendenti, aggiungendo di fatto solo una voce alla busta paga;
  • sul clima aziendale, visto che aumenterà la soddisfazione dei lavoratori; il dipendente avrebbe una somma di denaro in busta paga ogni mese senza doversi porre il problema di poterla effettivamente spendere (cosa sempre più probabile con i buoni pasto).

Per realizzare la proposta occorre lavorare sul TUIR (testo unico delle imposte sui redditi DPR 917/1986) per dare la possibilità ai datori di lavoro di versare in busta paga al lavoratore una indennità sostitutiva della mensa che sia esentasse per lavoratore e azienda come avviene per i buoni pasto.

Per questo motivo bisognerebbe proporre la modifica all’articolo Art 51 comma 2 lettera c del Testo unico delle imposte sui redditi (dpr 917/1986), estendendo di fatto a tutti la possibilità di beneficiare dell’indennità di mensa (a oggi riservata solo ad alcune categorie di lavoratori) e aumentando l’importo giornaliero complessivo (da 5,29 euro a 8 o 10 euro).

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30 Settembre 2022 · Giovanni Napoletano

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