Violazione dell’articolo 545 del codice di procedura civile nel corso di un pignoramento del conto corrente sul quale viene accreditato lo stipendio





La normativa vigente prevede che il debitore possa prelevare fino a 3 volte l'importo massimo dell'assegno sociale (alla data mille e 300 euro circa)





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A causa di un pignoramento Poste Italiane mi ha bloccato il conto corrente e non ricevo l’intero stipendio da ben 8 mesi: sono una insegnante quindi per legge mi dovrebbe essere trattenuto solo 1/5.

Il direttore delle poste cui mi sono rivolta mi ha detto che dipende da sede centrale. Il mio legale ha mandato diffida ma senza risposta. L udienza c’e stata ad aprile e il provvedimento è stato preso a luglio.

Ora chiedo se questo comportamento di Poste Italiane sia stato legittimo. Ho l’impressione che il mio legale non abbia fatto di tutto per risolvere il problema. Potrei citare Poste per appropriazione indebita? Cosa mi consigliate di fare?

Infine, una volta che l’ordinanza verrà notificata a Poste il mio conto verrà sbloccato immediatamente?

La normativa vigente (articolo 545 del codice di procedura civile) prevede che se la notifica del pignoramento avviene dopo l’accredito in conto corrente dell’ultimo stipendio, il terzo pignorato (l’istituto di credito o Poste italiane) deve, su richiesta del debitore sottoposto ad azione esecutiva, consegnare a quest’ultimo un importo pari alla retribuzione stipendiale accreditata dal datore di lavoro, entro il limite pari a tre volte il valore massimo dell’assegno sociale (nel 2022, in pratica, il terzo pignorato deve consegnare, su richiesta, lo stipendio accreditato non oltre i mille e 380 euro circa).

Il problema nasce quando il decreto di assegnazione giudiziale tarda ad essere emesso: in questa ipotesi, se gli stipendi continuano ad essere accreditati sul conto corrente sottoposto a pignoramento, il terzo pignorato dovrebbe, su richiesta del debitore sottoposto ad azione esecutiva, consegnare a quest’ultimo un importo pari alla retribuzione stipendiale accreditata dal datore di lavoro decurtata ai sensi dell’articolo 545 del codice di procedura civile. A questo punto, tuttavia, il terzo pignorato potrebbe sfruttare la normativa posta a tutela del debitore esecutato stesso, rifiutandosi di consegnare a quest’ultimo un importo che potrebbe essere inferiore a quello spettante. Ad esempio: poniamo che lo stipendio accreditato sia di mille euro: su richiesta del debitore il terzo pignorato dovrebbe consegnare 800 euro al cliente lavoratore dipendente che si è visto pignorare il conto corrente.

Tuttavia, il debitore esecutato potrebbe, ad esempio, avere in corso un pignoramento dello stipendio presso il datore di lavoro per un credito azionato della stessa natura (ordinario, esattoriale o alimentare) di quello azionato per pignorare il conto corrente. In un tale scenario, il debitore sottoposto ad azione esecutiva avrebbe diritto a percepire tutti i mille euro accreditati, mentre l’istituto di credito, o Poste italiane, non è in grado di conoscere la informazioni necessarie per poter valutare compiutamente se il cliente abbia diritto a ricevere 1000 oppure 800 euro. Riassumendo possiamo dire che la normativa è tecnicamente formulata male dal momento che il terzo pignorato che offre il servizio di tenuta del conto corrente non è in grado di conoscere la corretta spettanza del debitore esecutato ai sensi della normativa di cui all’articolo 545 del codice di procedura civile. In altre parole il terzo pignorato, tenutario del conto corrente, non può conoscere la dichiarazione resa dal datore di lavoro ai sensi dell’articolo 547 del codice di procedura civile in occasione di un eventuale, ma sempre possibile, pignoramento dello stipendio notificato al il datore di lavoro prima del pignoramento del conto corrente: solo il giudice chiamato a decidere sul pignoramento del conto corrente potrà ottenere, dal datore di lavoro del debitore, le informazioni necessarie a stabilire la corrette trattenuta da applicare allo stipendio accreditato.

Questo per dire che, nella fattispecie, una ipotetica azione legale nei confronti di Poste Italiane per risarcimento danni sarebbe alquanto problematica e dall’esito incerto, escludendo sicuramente l’accusa di appropriazione indebita perpetrata dal terzo pignorato che, per legge, deve adempiere al ruolo di custode delle somme pignorate fino all’emissione del decreto di assegnazione giudiziale.

Vero è che si potrebbe aggirare il problema facendo sottoscrivere al debitore un dichiarazione di atto notorio sull’assenza di eventuali pignoramenti dello stipendio in corso, oppure chiedendo al debitore di esibire copia conforme dell’ultima busta paga: ma si tratta di comportamenti non obbligati dalla legge, relegati esclusivamente alla buona volontà del terzo pignorato (nella fattispecie Poste Italiane).

Ed allora, come si risolve il problema? L’avvocato del debitore potrebbe, in termini di procedura, proporre ricorso urgente al giudice dell’esecuzione presso il tribunale, per censurare la posizione non collaborativa assunta da Poste Italiane in aperta violazione dell’articolo 545 del codice di procedura civile. Il giudice adito imporrebbe al datore di lavoro del debitore esecutato di fornire a Poste Italiane le informazioni necessaria affinché venga data completa attuazione a quanto disposto dalla vigente normativa. Ma così operando, l’avvocato del debitore si esporrebbe al rischio di dover presentare, al proprio cliente, una parcella, anche limitata alle sole spese legali (contributo unificato), magari nel momento in cui la situazione si sarà già sbloccata con l’emissione del decreto di assegnazione. Insomma l’avvocato del debitore, nello scenario appena delineato, come fa sbaglia (si trova nella posizione cosiddetta “lose to lose”).

Come si deve comportare allora il debitore sottoposto ad azione esecutiva nella situazione esposta? Semplicemente aprendo un nuovo conto corrente e comunicando al datore di lavoro le nuove coordinate del conto corrente per l’accredito dello stipendio. Non è sicuramente la soluzione idealmente perfetta, sia perché il debitore va incontro ad ulteriori spese di gestione per un nuovo conto corrente (a meno che il nuovo rapporto non risulti essere della tipologia “di base” con operatore online), sia perché il debitore si espone al rischio – benché remoto e comunque da dimostrare con una interpretazione estensiva della norma che dovrebbe, pertanto, riguardare anche i beni acquisiti dal debitore dopo la data di notifica del pignoramento – di violare l’articolo 492 del codice di procedura civile secondo il quale l’atto di pignoramento notificato anche al debitore ingiunge a quest’ultimo di astenersi da qualunque azione diretta a sottrarre alla garanzia del credito azionato i beni che si assoggettano alla espropriazione e i frutti di essi. Ma tant’è, in un mondo fatto di ritardi intollerabili delle procedure giudiziali, di assurda burocrazia e abuso del diritto, al povero cittadino debitore non resta che “arrangiarsi” individuando le soluzioni meno costose per vedere rispettati, in senso pratico, i propri diritti.

In ogni caso il suggerimento, vista l’amara esperienza vissuta sulla propria pelle, è quella di chiudere il conto corrente tenuto presso Poste Italiane.

STOPPISH

26 Agosto 2022 · Patrizio Oliva

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