Prestiti all’ex convivente – Arricchimento senza giusta causa e valore probatorio delle trascrizioni di chat WHATSAPP












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Durante il rapporto di convivenza, ho prestato alla mia ex, con bonifici bancari e contanti, una somma complessiva di circa 30 mila euro per aiutarla nell’avvio di una sua attività di estetista. Non ho una scrittura privata che attesti il prestito, ma dispongo di una serie di trascrizioni di chat Whatsapp in cui lei mi chiede i soldi.

Posso procedere legalmente per la restituzione del prestito?

L’articolo 2041 punisce l’arricchimento senza giusta causa, stabilendo che colui il quale, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.

Tuttavia, bisogna ricordare che le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell’ambito di un legame matrimoniale, sono caratterizzate da reciproci doveri di natura morale e sociale da parte di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale.

Ne consegue che le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente effettuate nel corso del rapporto, configurano l’adempimento di una obbligazione naturale ex articolo 2034 del codice civile, a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza (Cassazione sentenza 1266/2016).

Inoltre, le trascrizione di chat Whatsapp, di email, di messaggi sms a fini giudiziari possono essere considerate prova documentale ed essere utilizzati nel processo civile solamente a certe condizioni.

Infatti, proprio di recente la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che tali strumenti hanno valore come prova informatica nel processo solamente se viene acquisito anche il supporto -telematico o figurativo- contenente la registrazione (in pratica il cellulare), essendo la trascrizione una semplice riproduzione del contenuto della principale prova documentale.

I giudici di legittimità hanno evidenziato che la necessità di depositare il supporto risiede nel fatto che questo permette di controllare l’affidabilità della prova medesima mediante l’esame diretto del supporto onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato (Cassazione ordinanza 9016/2017).

Poiché non è sempre possibile depositare il dispositivo originale (per motivi legati alla privacy dei contenuti, indisponibilità dell’hardware, danneggiamento, perdita, etc…) e dato che ormai in ambito digitale non esiste più il concetto di “originale” dato che la copia forense di un dispositivo ha la stessa valenza probatoria del dispositivo, è possibile valutare il deposito della copia forense del dispositivo di registrazione (registratore digitale, smartphone, telecamera, etc…) così da conferire il valore legale di prova informatica e documentale al suo contenuto (registrazioni, filmati, messaggi SMS o Whatsapp, etc…).

Deve aggiungersi, quindi, che oltre al deposito dell’acquisizione forense del contenuto del dispositivo dal quale si vogliono estrarre le prove informatiche, si ritiene sia essenziale depositare anche una relazione tecnica forense che attesti la metodologia e strumentazione utilizzata per la copia forense, l’assenza di tracce di alterazione o manipolazione ai dati che dovranno essere utilizzati in giudizio e i criteri con i quali sono stati estratti gli elementi probatori d’interesse come ad esempio i messaggi SMS o Whatsapp, registrazioni audio, filmati.

Ciò significa che se il deposito viene fatto in modo “integrale” (quindi con il dispositivo originale o il suo equivalente tramite acquisizione forense certificata) i dati possono essere accettati e utilizzati in giudizio.

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17 Marzo 2019 · Marzia Ciunfrini

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