Quando per un debito non pagato si diventava schiavi del proprio creditore

Siamo nella Repubblica dell'antica Roma, fra il sesto ed il terzo secolo avanti Cristo: durante la campagne belliche, molti plebei erano costretti a chiedere prestiti ai patrizi per non perdere i raccolti: i plebei, infatti, erano obbligati ad abbandonare le proprie terre per servire nell'esercito. Quando ritornavano, molti non erano in grado di restituire il prestito ricevuto e, pertanto, si ritrovavano esposti ad un tipo di schiavitù chiamata nexum: si trattava di un obbligo di sottomissione quasi totale al creditore da parte del debitore.

In sostanza, il debitore che non poteva far fronte al pagamento, poteva essere reso schiavo in ragione del fatto che, per ottenere il prestito, doveva prima sottoscrivere un contratto, il nexum, appunto, che prevedeva siffatta ipotesi.

Il nexum fu abolito nel 326 a.C.: non si trattò propriamente di una conquista dei plebei, ma piuttosto di una fortunata conseguenza di una circostanza contingente: l'abbondante disponibilità di schiavi riconducibile al gran numero di nemici fatti prigionieri dalle truppe romane durante le campagne militari.

Tuttavia, anche se il nexum venne formalmente abolito ed il debitore fu obbligato a rispondere del debito solo con i beni di proprietà, quando il debitore inadempiente si trovava in una condizione di nullatenenza, il tribunale poteva ancora costringere il debitore a mettersi al servizio incondizionato del proprio creditore, fino al soddisfacimento dell'importo dell'obbligazione.

12 Settembre 2017 · Simone di Saintjust