Danni morali ed esistenziali post incidente » Risarcimento deve essere autonomo


Danni morali ed esistenziali: la sofferenza ha un suo suo peso specifico rispetto al danno fisico (danno biologico).

Il risarcimento per danni morali ed esistenziali deve essere autonomo e distinto da quello per le lesioni fisiche

Danni morali ed esistenziali: la sofferenza ha un suo suo peso specifico rispetto al danno fisico (danno biologico).

La liquidazione del risarcimento deve essere, quindi, autonoma e distinta.

Questo autorevole principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione la quale, con la pronuncia 22585/13, ha stabilito che: Deve essere cassata con rinvio la sentenza di merito che ha omesso di riconoscere e liquidare autonomamente il danno morale subiettivo patito e l’eventuale pregiudizio di natura esistenziale per il cambiamento delle abitudini di vita patiti dalla vittima di un sinistro che è rimasta invalida per tale incidente, laddove detto giudici abbia omesso di valutare correttamente le conseguenze, sul piano del danno non patrimoniale, della definitiva compromissione delle normali potenzialita di esplicazione e realizzazione della personalità del danneggiato, tanto in ambito familiare (ivi compreso il diritto all'esplicazione della sessualità irrimediabilmente compromesso) quanto in ambito professionale e di relazione con soggetti terzi.

A parere degli Ermellini non si può affatto escludere la liquidazione autonoma dei danni di natura morale ed esistenziale, accanto a quello biologico, per chi è rimasto invalido dopo l’incidente.

Infatti, la lesione che consiste nel perdurante stato di ansia e il pregiudizio costituito dal forzoso cambio di abitudini di vita imposto dal sinistro risulta risarcibile.

Cosa è il danno esistenziale

Il danno esistenziale può essere definito come  lo sconvolgimento foriero di scelte di vita diverse.

In altre parole, lo sconvolgimento  dell'esistenza obiettivamente accertabile in ragione dell'alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell'ambito della vita comune di relazione, sia all'interno che all'esterno del nucleo familiare, che, pur senza degenerare in patologie medicalmente accertabili ( danno biologico), si rifletta in un'alterazione della sua personalità tale da comportare o indurlo a scelte di vita diverse ad assumere essenziale rilievo ai fini della configurabilità e ristorabilità di siffatto profilo del danno non patrimoniale.

Da anni è al centro del dibattito fra dottrina e giurisprudenza.

La prima che ne chiede il pieno riconoscimento e la seconda che, con una sentenza della Corte di cassazione, ne aveva negato l'esistenza come voce di danno autonomo.

Danno esistenziale e danno fisico » I precedenti giurisprudenziali

Infatti, in merito a questa vicenda la Suprema Corte aveva fornito decisioni ben diverse della sentenza citata nel primo paragrafo.

Tra le tante, citiamo la pronuncia 26972/08, che dispone: il danno esistenziale non esiste come autonoma categoria di danno, rientra i quello non patrimoniale. Quindi, il danno alla vita di relazione andrà risarcito solo se lede interessi costituzionalmente garantiti. Ciò perché il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'articolo 2059 del codice civile, che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione.

Secondo ciò che si evince da questa massima, piazza Cavour affermava l’unicità del danno non patrimoniale e, soprattutto, escludeva che il così detto danno morale (o sofferenza transitoria) e il danno esistenziale (o lesione del semplice diritto di attendere alle occupazioni quotidiane) avessero una propria autonomia.

Ora con un'ulteriore inversione di rotta la Suprema corte ha sancito che, per il risarcimento danni, si deve tener conto anche dei danni morali ed esistenziali.

Il risarcimento per danni morali ed esistenziali deve essere autonomo e distinto da quello per le lesioni fisiche » La controversia

Sono accolti alcuni dei motivi di ricorso del danneggiato, caduto nella tromba delle scale nell’immobile dell'ente pubblico di cui era dipendente.

Sbaglia la Corte territoriale quando non riconosce all'invalido un danno morale soggettivo indipendente dalla lesione biologica patita.

È vero: la giurisprudenza delle Sezioni unite civili è ferma nel ritenere che il danno non patrimoniale sia unico, mentre le sottocategorie “biologico”, “morale” ed “esistenziale” non rappresentano altro che categorie descrittive.

Il punto è che il giudice del merito, nel liquidare il ristoro all'impiegato precipitato al suolo nell’edificio fatiscente, non può ignorare le inevitabili implicazioni che la nuova condizione di invalido determina nell’esistenza un tempo normale del danneggiato: tanto per dirne una, sul piano familiare, la vittima dell'incidente non può più avere una sua vita sessuale.

In ogni caso l’esplicazione della personalità del danneggiato risulta compressa - e compromessa - sicuramente sul fronte professionale, visto che non più lavorare, ma anche sociale, dal momento che non può più coltivare relazioni come una volta.

E se è vero che la categoria del danno esistenziale risulta indefinita e atipica, tale è anche la stessa dimensione della sofferenza umana, come osservano gli “ermellini” citando un precedente giurisprudenziale (Cassazione 20292/12).

Impossibile, infine, escludere dalla responsabilità per il sinistro i vertici dell'ente pubblico.

La rovinosa caduta scaturisce dalla intollerabile situazione delle scale dell'edificio e, dunque, da una vera e propria carenza strutturale dell'immobile, e non solo dalla cattiva manutenzione.

Per la circostanza sono colpevolmente inadempienti i pezzi grossi dell'istituto in quanto debitori di sicurezza dei dipendenti.

Ora, la parola va al giudice del rinvio.

28 Settembre 2024 · Giuseppe Pennuto

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