Dopo la sospensione del pagamento della quota capitale dei prestiti le banche non dovrebbero far pagare anche lo spread al debitore

Secondo il Collegio di coordinamento dell'Arbitro Bancario Finanziario (decisione 4136/15) le norme concordate fra ABI ed Associazioni di consumatori, che regolano sospensione della quota capitale dei prestiti erogati nell'ambito del credito al consumo e dei mutui garantiti da ipoteca su abitazione principale muovono dal presupposto secondo cui, al termine del periodo di sospensione, alla banca mutuante debba essere corrisposto il costo che durante la sospensione essa sostiene per procurarsi sul mercato interbancario la provvista di denaro goduta dal beneficiario nel periodo di sospensione (cioè il debito residuo esistente a quel momento).

Tale costo è dato appunto dalla componente di riferimento dei tassi contrattuali d’interesse, ossia dall’Euribor per quelli variabili e dall’IRS per quelli fissi.

Una interpretazione diversa, secondo la quale, durante la sospensione, debba essere salvaguardato anche il margine di profitto della banca mutuante, ossia la differenza (o spread) tra il suddetto tasso di rifinanziamento e l’ammontare degli interessi che sono stati contrattualmente pattuiti, farebbe gravare sui mutuatari beneficiati i costi della sospensione.

Invece, le banche dovrebbero concorrere alla realizzazione di quelle istanze di tutela dei mutuatari appartenenti alle fasce sociali più deboli, e pertanto più esposte alle conseguenze della crisi economica.

15 Giugno 2015 · Giovanni Napoletano