Chiunque emette un assegno bancario o postale che, presentato al pagamento in tempo utile, non viene pagato in tutto o in parte per difetto di provvista è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dal Prefetto del luogo di pagamento (articolo 2 legge 386/1990). Analoga sorte per chi emette un assegno bancario o postale senza autorizzazione: tra le ipotesi di assenza di autorizzazione rientra il caso del conto chiuso prima dell’emissione dell’assegno o dell’emissione di un assegno dopo la revoca di sistema (si veda più avanti per il significato di revoca di sistema).

La sanzione amministrativa non si applica se chi ha emesso l’assegno (traente), entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo, effettua il pagamento tardivo dell’assegno, gravato dagli interessi legali, da una penale del 10% (del valore nominale – indicato anche come valore facciale) e dalle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente. La prova dell’avvenuto pagamento deve essere fornita mediante quietanza del beneficiario con firma autenticata ovvero, in caso di pagamento a mezzo di deposito vincolato, mediante attestazione della banca comprovante il versamento dell’importo dovuto (articolo 8 legge 386/1990).

Nell’ipotesi di emissione di assegno senza provvista è possibile evitare la revoca di ogni autorizzazione a emettere assegni, l’iscrizione in Centrale d’Allarme Interbancaria (CAI) e l’avvio della procedura sanzionatoria amministrativa solo effettuando tempestivamente il cosiddetto pagamento tardivo che comprenda, per espressa previsione normativa, oltre al valore nominale del titolo, gli interessi, una penale prevista del 10% (articolo 3 legge assegno) e le eventuali spese per il protesto o constatazione equivalente; e fornendo alla banca trattaria (la banca presso cui è aperto il conto corrente su cui è tratto l’assegno) la prova dell’avvenuta sanatoria, nei termini e con le modalità stabilite dall’articolo 8 della legge 386/1990 (quietanza del portatore con firma autenticata o pagamento a mezzo di deposito vincolato).

La mancata osservanza dell’intera procedura di pagamento tardivo e quindi anche la mancata produzione della quietanza nei perentori termini previsti dalla legge (60 giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo) non consente di evitare l’iscrizione non essendovi al riguardo alcuna discrezionalità da parte della banca.

L’iscrizione in CAI non potrà essere cancellata e così anche la revoca dalla possibilità di emettere assegni se non dopo che siano decorsi sei mesi e a meno che il Prefetto, valutata l’entità dell’importo facciale dell’assegno privo di provvista e l’eventuale recidività del traente, non disponga, oltre alla sanzione amministrativa, un prolungamento dei tempi di iscrizione e di revoca della facoltà di emettere assegni.

Invece, il debitore protestato per avere emesso un assegno privo di copertura, che abbia adempiuto all’obbligazione per la quale il protesto è stato levato e non abbia subito ulteriore protesto ha diritto ad ottenere, trascorso un anno dal levato protesto, la riabilitazione.

La riabilitazione è accordata con decreto del presidente del tribunale su istanza dell’interessato corredata dai documenti giustificativi. Per effetto della riabilitazione il protesto si considera, a tutti gli effetti, come mai avvenuto. Il debitore protestato e riabilitato ha diritto di ottenere la cancellazione definitiva dei dati relativi al protesto anche dal Registro Informatico dei Protesti (RIP). La cancellazione dei dati del protesto è disposta dal responsabile dirigente dell’ufficio protesti competente per territorio non oltre il termine di venti giorni dalla data di presentazione della relativa istanza, corredata del provvedimento di riabilitazione (articolo 17 legge 108/1996).

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