Risarcimento danni – è più conveniente uccidere che ferire
Può sembrare provocatoria l'affermazione riportata nel titolo, ed in realtà si tratta solo di suggestiva retorica, perchè non corrisponde proprio al ...
Può sembrare provocatoria l'affermazione riportata nel titolo, ed in realtà si tratta solo di suggestiva retorica, perchè non corrisponde proprio al vero che, ferma la rilevantissima diversa entità delle sanzioni penali, dall’applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche dell’illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l’autore dell’illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali.
Tuttavia, la giurisprudenza consolidata è concorde nel ritenere, nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, che non possa essere invocato il risarcimento del danno per diritto di eredità.
Per i giudici di legittimità, infatti, se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto, e fin quando, il medesimo è in vita. Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo da parte del titolare.
La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”: l'esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi comporta, necessariamente, una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore rispetto al caso di una eventuale lesione subita dal danneggiato.
Infatti, poichè una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva dall'assenza di un soggetto al quale sia collegabile la perdita stessa.
Il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perchè quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi scriveva Epicuro nella Lettera sulla felicità a Meneceo. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perchè per i vivi essa non c’è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci.
Si tratta dell'approccio "epicureo", individuabile nell'insegnamento delle sezioni unite (3475/1925), che i giudici di legittimità hanno inteso richiamare nella sentenza 15350/15, secondo la quale non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita, potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilità civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni, nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte.