Impugnabilità degli avvisi bonari per il pagamento di tributi

Tra gli enti pubblici è invalsa recentemente la prassi di inviare avvisi bonari di pagamento che precedono il procedimento riscossivo vero e proprio.

La particolarità di tali atti è che, a parere dell'ente creditori, non sarebbero impugnabili e, pertanto, al contribuente non resterebbe altro che pagare o aspettare i ben più gravosi avvisi di accertamento o cartelle di pagamento.

La Corte di Cassazione, invece, con la sentenza numero 14373 del 15 giugno 2010, ha dichiarato che gli avvisi bonari possono essere impugnati innanzi le Commissioni Tributarie anche nel caso in cui su di essi sia riportata la dicitura “atto non autonomamente impugnabile”.

Tale pronuncia, come meglio si chiarirà in seguito, conferma degli spirali molto interessanti per la tutela del contribuente.

La questione ruota attorno all'interpretazione dell'articolo 19, decreto legislativo 546/1992 che afferma che il ricorso in Commissione Tributaria può essere proposto soltanto se viene impugnato uno degli atti ivi specificamente dettagliati tra cui, ad esempio, ci sono gli avvisi di accertamento e le cartelle di pagamento.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale contro cui il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, interpretando restrittivamente l’articolo 19 richiamato, aveva respinto le ragioni del contribuente dichiarando il ricorso proposto inammissibile proprio perché non era stato impugnato uno degli atti elencanti dalla disposizione.

La Corte di Cassazione, invece, confermando la propria precedente giurisprudenza, ha cassato la sentenza d’appello affermando che sono impugnabili “tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una normale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione «avviso di liquidazione» o «avviso di pagamento»”.

L’atto che aveva impugnato il contribuente, infatti, conteneva la determinazione esatta della somma dovuta e l’avvertimento che in difetto di pagamento sarebbe seguita l’iscrizione a ruolo con ulteriore aggravio di spese e, pertanto, secondo la Corte “è ragionevole dedurre che ci si trovi di fronte alla comunicazione di una pretesa impositiva […] che incide sulla posizione patrimoniale del contribuente”.

Come si preannunciava, la sentenza annotata porta con sé importanti conseguenze su cui è bene il contribuente presti la propria attenzione.

Infatti, gli atti che l’Amministrazione indica come atti non autonomamente impugnabili spesso non rispettano le norme previste dall'ordinamento a tutela del contribuente, come, ad esempio, quelle che impongono l’indicazione del nome del responsabile del procedimento e quelle che stabiliscono modalità specifiche di trasmissione e notifica degli atti ai contribuenti stessi.

Questo significa che, come nel caso sopra citato, se un “avviso bonario” in realtà è un atto impositivo potrebbe essere possibile ottenere in giudizio il suo annullamento e, conseguentemente, vedere azzerato il debito tributario.

La Corte di cassazione, con la sentenza 7344 depositata l'11 maggio è ritornata sulla questione, ritenedo che gli avvisi bonari possono essere impugnati dal contribuente perché portano a sua conoscenza una pretesa impositiva compiuta.

Ad avviso della Sezione Tributaria della Cassazione, infatti, l'elencazione degli atti impugnabili davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 546/92, non esclude l'impugnabilità di altri atti, contenenti una compiuta e definita pretesa tributaria. In altri termini, gli Ermellini riconoscono al contribuente la facoltà di ricorrere in sede giurisdizionale contro tutti quegli atti dell'ente impositore che, con l'esplicazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che li sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal l'articolo 19 atteso l'indubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione di quella notizia, dell'interesse a chiarire, con pronuncia idonea ad acquistare effetti non più modificabili, la sua posizione.

di Diego Conte

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29 Agosto 2010 · Anonimo




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