Pubblicità comparativa » Prodotti non omogenei? E’ concorrenza sleale

In tema di pubblicità comparativa, vi è concorrenza sleale se il video dello spot, anche pubblicato sul web, mette a confronto due prodotti non omogenei tra loro in quanto appartenenti a categorie differenti. Parola del Tribunale di Milano.

Pubblicità comparativa: Prodotti non omogenei? E' concorrenza sleale » Di cosa si tratta

Prima di affrontare la pronuncia del tribunale meneghino, è bene porsi una domanda: cosa si intende per pubblicità comparativa?

Quando parliamo di pubblicità comparativa facciamo riferimento alla possibilità delle imprese di utilizzare l’apparato pubblicitario a scopo di paragonare un proprio brand o prodotto ad uno standard.

Uno standard implicito quando si paragona un prodotto ad uno generico, quindi senza menzionare direttamente il concorrente, oppure uno standard esplicito quando viene menzioniato il nome di un particolare marchio competitor.

Questa pratica, prima assolutamente vietata, da qualche anno è lecita anche nel Belpaese.

Pubblicità comparativa: Prodotti non omogenei? E' concorrenza sleale » Parlano i giudici

D’accordo, la pubblicità comparativa. Non solo è perfettamente legale, ma costituisce uno stimolo alla libera concorrenza e può giovare ai consumatori in termini di scelta consapevole. Ma soltanto se raffronta prodotti omogenei, altrimenti è concorrenza sleale.

Questo importante principio è stato stabilito dal Tribunale di Milano il quale, con il decreto del 3 Maggio 2013, ha sancito che: Deve ritenersi che la pubblicità comparativa non sia di per sé illecita, ma che anzi possa costituire uno strumento d’informazione che consente al consumatore una migliore valutazione dei meriti di ciascun operatore, della qualità delle loro prestazioni e del loro costo e, quindi, una scelta più consapevole, rappresentando in questa ottica può costituire uno stimolo della concorrenza nell’interesse dei consumatori: ne consegue che se per tale ragione un divieto assoluto della pubblicità comparativa sarebbe un ostacolo alla libera concorrenza, laddove essa risulti ingannevole e illegittimamente comparativa, può anche causare effetti distorsivi per la concorrenza e incidere negativamente sulle scelte dei consumatori. Per costituire un mezzo legittimo d’informazione dei consumatori ed essere lecita, la pubblicità comparativa, oltre a non essere ingannevole, deve confrontare beni o servizi secondo criteri obiettivi.

Con il decreto proposto, il giudice meneghino ricorda quindi che la pubblicità comparativa non è di per sé illecita.

Al contrario, essa è uno stimolo alla libera concorrenza ed è uno strumento d’informazione che consente al consumatore una scelta più consapevole.

Tuttavia, la pubblicità comparativa deve rispondere sempre a determinate regole affinché non sia mai ingannevole.

A tal fine essa deve confrontare beni o servizi tra loro omogenei, prodotti, cioè, tra i quali si possa fare un effettivo paragone, altrimenti sconfina nella concorrenza sleale.

È infatti escluso che la pubblicità, per quanto comparativa, possa risolversi nel denigrare il concorrente e nel procurare all'autore della pubblicità un indebito vantaggio.

Pubblicità comparativa: Prodotti non omogenei? E' concorrenza sleale » Il fatto

È così che un'azienda viene condannata a rimuovere da YouTube, oltre che dal suo sito web, il video che mette sui due piatti della bilancia il suo prodotto e quello del competitor, laddove il primo per intrinseche caratteristiche tecniche è meno rumoroso rispetto al secondo, il quale appartiene però a un’altra categoria.

Insomma: il paragone risulta ingannevole e l’impresa scorretta pagherà una penale di 400 euro per ogni giorno di ritardo con cui cancellerà lo spot.

5 Novembre 2013 · Giovanni Napoletano




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