Protesto per assegno senza provvista – La banca puo’ non avvertire

Protesto di un assegno per mancanza fondi - La banca non ha l'obbligo di avvertire il correntista

Non esiste nessun obbligo, da parte della banca, di avvertire il correntista prima della elevazione del protesto di un assegno emesso per mancanza di fondi.

In caso di incapienza del conto corrente, infatti, non sussiste una posizione di interesse legittimo del correntista, consistente nel legittimo affidamento dello stesso di essere avvertito della presenza dell'assegno, al fine di evitare ancora una volta la levata del protesto.

Infatti, si è in presenza di un interesse di mero fatto del correntista, per nulla assimilabile ad un interesse legittimo.

Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza numero 3286 del 12 Febbraio 2013, ha sancito che: non sussiste un obbligo, da parte della banca, di informare il correntista dell'assegno e vuoto; il protesto, quale evento dannoso, non è riferibile alla condotta dell'istituto di credito, seminai è a carico del correntista che non poteva certo essere all'oscuro della reale consistenza del conto in questione.

Protesto di un assegno per mancanza fondi - Il fatto

In primo grado, il Tribunale di Pistoia aveva dichiarato, con sentenza non definitiva, legittimo il protesto levato con riferimento ad un assegno emesso da un correntista tratto su un istituto di credito.

Il medesimo organo giudicante, con sentenza definitiva, aveva rigettato la domanda del traente al risarcimento dei danni subiti.

In appello, invece, la corte territoriale aveva accolto parzialmente le richieste del traente, riconoscendo al correntista il diritto al risarcimento dei danni.

Così, l’istituto di credito aveva proposto il ricorso incidentale in Cassazione.

Gli ermellini, hanno così accolto l’appello promosso dalla banca, la quale era stata erroneamente condannata, secondo loro, al risarcimento dei danni subiti dal correntista per non esser stato avvertito dalla banca al momento dell'elevazione del protesto.

I giudici d'appello, avevano affermato che si fosse verificata una lesione dell'interesse protetto, come stabilito dall'ex articolo 2043 del codice civile: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Questo, sulla base della storica sentenza della Suprema Corte, numero 500 del 1999, che sanciva: "La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l'attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento. In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex articolo 2043 del codice civile, poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo".

La Corte, invece, ha precisato che una tale aspettativa, non può ricevere tutela dall'ordinamento, posto che trattasi di un interesse di mero fatto, per nulla assimilabile ad un interesse legittimo, risultando del tutto erroneo il richiamo operato della Corte di Appello alla decisione delle Sezioni Unite del 1999, in quanto non pertinente.

Tra le altre argomentazioni utilizzate dalla Suprema Corte, nel caso di specie, l’interesse del correntista non riveste né la forma di diritto soggettivo, né quella di interesse legittimo, anche perché non sussiste alcun obbligo da parte della banca di informare il proprio cliente dell'assegno a vuoto e dell'elevazione del protesto

A ciò si aggiunga come il protesto, in quanto evento dannoso, non è riferibile alla condotta dell'istituto di credito, ma semmai è a carico del correntista che non poteva certamente ignorare la circostanza che il conto corrente a lui intestato fosse non capiente.

Inoltre, neppure può ravvisarsi una condotta illecita ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile tenuta dalla banca e tale circostanza, da sola, impedisce di configurare il presupposto alla base del quale si pone il diritto al risarcimento.

Con queste pronunce, quindi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale, accogliendo quello dell'istituto di credito e, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni.

7 Marzo 2013 · Stefano Iambrenghi


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