La presunzione legale di proprietà nel pignoramento presso la residenza del debitore

Nel “pignoramento mobiliare” presso il debitore  opera una “presunzione legale di appartenenza (o proprietà)” dei beni mobili presenti nella sua “casa” (o azienda o altro luogo a lui appartenente).

Come sappiamo il pignoramento mobiliare è l'atto con cui si inizia l’espropriazione forzata che segue l'esistenza, e la notifica, di un titolo esecutivo e di un precetto, cioè i documenti che secondo la legge obbligano il debitore ad adempiere al pagamento o in mancanza a subire l’esecuzione forzata da parte dell'Ufficiale Giudiziario.

Quest’ultimo redige un verbale dal quale risulta, oltre che l'ingiunzione di “astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che sono oggetto dell’espropriazione” (divieto di vendita, distruzione volontaria, dispersione), la descrizione di tutti i beni mobili pignorati, il loro stato (tramite rappresentazione fotografica o audiovisiva) e la determinazione approssimativa del presumibile valore di realizzo (il prezzo che potrebbe essere ricavato dalla vendita all'asta di questi oggetti).

L'articolo 513 del Codice di Procedura Civile, 1° comma recita: " l'ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti. Può anche ricercarle sulla persona del debitore, osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro".

Questa presunzione risponde ad esigenze di pratica effettività degli atti esecutivi e, come di regola per le presunzioni legali relative (o “iuris tantum”)  ammette la prova contraria nei limiti permessi dalla legge (Articolo 2728 Codice Civile: “Prova contro le presunzioni legali”) attraverso una inversione dell'onere della prova: colui che allega il fatto per il quale è prevista la presunzione non dovrà fornirne alcuna dimostrazione e sarà onere dell'altra parte provare che, nel caso di specie, il fatto non sussiste (il debitore, in altre parole, deve provare che i beni mobili trovati nei luoghi a lui appartenenti non sono di sua proprietà).

Si deve anche aggiungere la previsione dell'articolo 621 Codice Procedura Civile: “Il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore”.

Dunque, il terzo, soggetto “estraneo” che afferma di essere il reale proprietario dei “mobili”, non può servirsi di testimoni per provare le sue ragioni, e ciò per il timore che questi, d'accordo col debitore, si dichiari proprietario dei beni sottoposti a pignoramento al solo scopo di sottrarre al creditore procedente beni su cui questi intende soddisfare il proprio diritto di credito. Il terzo, tramite un'azione di “accertamento negativo”, dovrà superare la presunzione di appartenenza al debitore producendo un atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

Ad esempio, può costituire atto valido con data certa (anteriore al pignoramento) la scrittura privata autenticata (da notaio o altro Pubblico Ufficiale), oppure registrata presso gli Uffici territoriali dell'Agenzia delle Entrare del Ministero dell'Economia e delle Finanze (già Ufficio del Registro). Non è necessaria la prova del solo diritto di proprietà ma di qualunque altro diritto reale vantato dal terzo.

Unica deroga al divieto della prova testimoniale è rappresentata dal fatto che la professione esercitata dal terzo o dal debitore, renda probabile l'appartenenza dei beni ritrovati allo stesso terzo, o poco probabile la proprietà in capo al debitore: solitamente in questi casi, non c'è un atto scritto che documenti il rapporto tra terzo e debitore per cui diventa necessario poterlo provare mediante prova testimoniale.

Su questo aspetto, molto penalizzante per chi condivide l’abitazione con persone gravate da debiti e potenzialmente soggette a procedure esecutive mobiliari presso il luogo di residenza, la Corte di Cassazione si è espressa più volte precisando che: “La presunzione, valevole in sede esecutiva a norma dell'articolo 621 cod. proc. civ., per cui tutti i mobili che si trovano nell'azienda o nell'abitazione del debitore sono di sua proprietà, opera sul presupposto di una relazione di fatto tra il debitore e questi particolari spazi di vita professionale o familiare, perché chi ne gode può liberamente introdurvi e solitamente vi introduce cose che gli appartengono. A tal fine è azienda del debitore anche quella ubicata in un immobile preso in locazione, non diversamente da come è casa del debitore quella da lui condotta in locazione” (Cassazione civ. Sez. III, 09-02-2007, numero 2909).

Anche le “eccezioni” sollevate da persone conviventi col debitore (es. i genitori che sostengono che il figlio e “nullatenente”, o è “ospite”) secondo le quali il pignoramento sui beni famigliari è illegittimo, in realtà non sfuggono al principio della presunzione legale di cui all'articolo 513 codice di procedura civile, in quanto la casa del debitore, nel caso in cui questi sia un figlio maggiorenne ivi residente anagraficamente, coincide con l’abitazione dei genitori.

tratto da "Possesso vale titolo" di Alberto Monari pubblicato il 27 giugno 2010 su Kult Underground

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22 Agosto 2013 · Chiara Nicolai




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