Pignoramento conto corrente – legittimo anche se in esso confluiscono solo redditi da lavoro dipendente

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Qualora le somme dovute per crediti di lavoro siano già affluite sul conto corrente o sul deposito bancario del debitore sottoposto ad esecuzione, non si applicano le limitazioni al pignoramento previste dall'articolo 545 cod. proc. civ.. E, d'altra parte, detta ultima norma quando prevede la possibilità di procedere al pignoramento dei crediti soltanto nel limite del "quinto" del loro ammontare si riferisce ai crediti di lavoro. Orbene, per individuare la natura di un credito (ivi compreso quello avente ad oggetto somme di denaro) occorre accertare il titolo per il quale certe somme sono dovute ed i soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio.

Onde che, laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v'è dubbio che le "somme" da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento (id est a sequestro) somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito dei debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle "somme" sono state versate su quel conto: il denaro é bene fungibile per eccellenza.

Per i giudici di piazza Cavour sezione lavoro, con la sentenza numero 17178 del 9 ottobre 2012, dunque, non sussiste alcuna preclusione o limitazione in ordine alla sequestrabilità e pignorabilità delle retribuzioni percepite, ormai definitivamente acquisite dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate, quindi, alla disciplina dell'articolo 1834 codice civile. Così come già stabilito in precedenti sentenze (cfr. Cass. numero 3518 del 12 giugno 1985).

Possiamo così sintetizzare la massima inerente l'indicata pronuncia: Laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v’è dubbio che le “somme” da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle “somme” sono state versate su quel conto: il denaro è bene fungibile per eccellenza.

E' proprio il caso di affermare, non senza una punta di sarcasmo, che una volta confluite nel conto corrente le somme percepite a titolo di retribuzione da lavoro dipendente risultano completamente "riciclate", perdendo qualsiasi relazione con la propria origine e trasformandosi in "eccellente" denaro fungibile.

Al povero debitore, costretto dal decreto "salva Italia" a doversi obbligatoriamente servire del conto corrente, l'unica via di uscita resta quella di prelevare il denaro "fungibile" ancora caldo di bonifico e depositarlo, prima che si raffreddi, su un conto corrente intestato ad altri soggetti (possibilmente, non debitori in via di esecuzione coattiva). In questo modo potrà sottrarsi, forse, all'azione esecutiva del creditore scaltro che avrà deciso di procedere al pignoramento del conto corrente invece di "accontentarsi" del quinto mensile dello stipendio.

12 Ottobre 2012 · Genny Manfredi