Requisiti per il riconoscimento della pensione di reversibilità al figlio inabile del defunto

In caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi.

Se il requisito dell'essere a carico del genitore defunto (vivenza a carico) non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, la questione va considerata con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva in via continuativa e in misura quanto meno prevalente al mantenimento del figlio inabile.

La "vivenza a carico" è provata quando risulti che il figlio superstite si trova senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti ed al mantenimento di essi concorreva in modo efficiente il defunto. Purtroppo, il livello quantitativo di vivenza a carico del defunto per il richiedente non è determinato né per legge, né con direttive amministrative.

Pertanto, la determinazione in concreto della sufficienza dei mezzi di sussistenza è tipico giudizio di fatto demandato al giudice del merito adito per il riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, il quale può valutare tale sufficienza in relazione al costo della vita, al potere di acquisto della moneta, e agli altri standards sociali del luogo in cui la vicenda si svolge.

La giurisprudenza di legittimità, al fine di determinare la nozione di vivenza a carico nella fattispecie di pensione di reversibilità erogata dall'Inps in favore di figlio superstite, maggiorenne e inabile, ha determinato la soglia di autosufficienza (recependo le determinazioni dello stesso Istituto previdenziale) nel limite di reddito previsto per il riconoscimento del diritto a pensione nei confronti degli invalidi civili totali, nel senso che un reddito proprio del figlio inabile inferiore a tale limite configura il requisito della vivenza a carico.

Per quel che attiene il contributo del de cujus ed il rapporto tra questo e i mezzi propri del figlio superstite, invece, il principio enunciato è che, per quanto riguarda l'apporto del de cujus, non si richiede che il superstite fosse totalmente mantenuto in tutti i suoi bisogni dal lavoratore defunto, ma è indispensabile, e insieme sufficiente, che quest'ultimo abbia contribuito in modo efficiente al suo mantenimento mediante aiuti economici che per la loro costanza e regolarità costituivano un mezzo normale, anche se parziale, di sussistenza.

Infine, l'accertamento del requisito della "inabilità" richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico.

In questi termini si sono espressi i giudici della Corte di cassazione con l'ordinanza 11966/15.

11 Giugno 2015 · Piero Ciottoli




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