Pensione di reversibilità negata se l’assegno di mantenimento viene stabilito in sede di separazione ma non è confermato in occasione del divorzio

L’assegno previsto in sede di separazione, di natura alimentare e fondato sul presupposto della permanenza del vincolo coniugale, non può rivivere una volta dichiarata la cessazione degli effetti del matrimonio e non conferisce, all'ex coniuge, il diritto alla reversibilità della pensione percepita dal coniuge divorziato in assenza del riconoscimento giudiziale anche ad un assegno divorzile (Corte di cassazione, ordinanza 11129/2019).

Infatti, la pensione di reversibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione.

Nei confronti del coniuge superstite, come forma di continuità della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto. Nei confronti dell’ex coniuge, il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque, di un diritto alla pensione di reversibilità, che non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell'esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati (corte Costituzionale, sentenza 419/1999).

Sul tema, si è anche espressa la Suprema Corte di Cassazione (sezioni unite, sentenza 22434/2018), escludendo dal diritto alla pensione di reversibilità in favore dell'ex coniuge del pensionato deceduto qualora l'assegno divorzile fosse stato corrisposto in un'unica soluzione. Secondo i giudici di piazza Cavour, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell'assegno - di cui alla legge 898/1970, articolo 5 - deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest’ultimo caso, infatti, difetta il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell’assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l’assegno "una tantum" non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare; è evidente che analoga ratio va ravvisata laddove una situazione economica che viene a mancare non vi è perché non vi era neanche prima del decesso del de cuius.

25 Aprile 2019 · Ornella De Bellis




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