Pignoramento esattoriale » Ecco dove il Fisco non può arrivare

I limiti del Fisco nel pignoramento esattoriale

Pignoramento esattoriale: mobiliare, immobiliare e presso terzi. Ecco dove il fisco non può arrivare.

Crisi incombente, economia delle famiglie ai più alti livelli di criticità. Ecco, così, che il Governo e la giurisprudenza di legittimità, hanno tentato, in qualche modo, di ammorbidire almeno le azioni di recupero attraverso le tanto temute procedure esattoriali.

Abbiamo deciso dunque di elencare, in questo articolo, tutti i beni su cui il Fisco non potrà mai disporre pignoramento, o quasi.

Pignoramento esattoriale della prima casa

Sappiamo bene che, con l’emanazione del Decreto del fare, è stato stabilito lo stop al pignoramento delle prima casa da parte di Equitalia.

Equitalia, infatti, non può più pignorare la prima casa del debitore a condizione che sia l’unico immobile in proprietà del debitore, che lo stesso vi risieda anagraficamente e che l’immobile sia adibito ad uso abitativo.

Inoltre, ci sono stati recenti sviluppi perr quanto riguarda la retroattività della norma.

Andiamo con ordine.

In una direttiva del 1 luglio 2013, l’agente della riscossione rendeva noto che avrebbe chiesto agli organi istituzionali chiarimenti sull'applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, ovvero se le stesse riguardassero solo le procedure iniziate dopo l’avvento della norma.

Successivamente, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, aveva chiarito che la norma era applicabile solo per i pignoramenti sorti dopo l’emanazione del decreto.

La posizione, grazie ad una recente pronuncia della Corte di Cassazione, è stata completamente smentita, estendendo la protezione sulla prima casa a tutti i procedimenti esecutivi in corso.

L’ultimo emolumento dello stipendio versato in banca al lavoratore dipendente

L’ultimo emolumento del rapporto di lavoro o di pensione non può essere congelato dall’agente di riscossione dello Stato (equitalia) con il pignoramento presso terzi.

Lo stop ai pignoramenti di Equitalia riguarda solo le somme depositate in banca o alla posta a titolo di ultima retribuzione del rapporto di lavoro o della pensione.

Infatti, il Decreto Legge del 21 giugno 2013, numero 69, detto il Decreto del Fare, ha modificato la precedente disciplina in materia di pignoramenti sugli stipendi, di salario o di altre indennità dovute in base al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle per causa di licenziamenti, o a titolo di pensioni che siano state versate sui conti correnti postali o bancari intestato al debitore.

In sostanza, la nuova legge ha stabilito che, in presenza di debiti esattoriali gli obblighi del terzo pignorato non possono ricomprendere l’ultimo emolumento affluito su tale conto, che resta, pertanto, nella piena disponibilità del correntista.

Perciò, anche se il resto del conto corrente è congelato, l’ultimo stipendio può essere liberamente prelevato dal contribuente cui sia stato eseguito in pignoramento presso terzi in banca.

Inoltre, per chiarezza, è stato stabilito che per tutti gli stipendi (nonche’ le gratifiche, le pensioni, le indennita’, i sussidi, etc) la regola generale secondo cui essi sono impignorabili ed insequestrabili salvo queste eccezioni:

  1. se il debito riguarda alimenti dovuti per legge, è prevista la pignorabilita’ fino ad un terzo degli stipendi al netto di ritenute;
  2. se il debito è verso lo Stato o altri enti o imprese da cui il debitore dipende, e riguarda il rapporto di impiego, è prevista la pignorabilita’ fino ad un quinto degli stipendi al netto di ritenute;
  3. se il debito riguarda tributi dovuti allo Stato, alle Province o ai Comuni dall'impiegato o salariato, è prevista la pignorabilita’ fino ad un quinto degli stipendi dello stesso al netto di ritenute.

Se concorrono simultaneamente i casi 2 e 3 il pignoramento non puo’ colpire una quota totale maggiore del quinto gia’ detto, mentre se concorre anche il caso 1 il pignoramento non puo’ colpire una quota maggiore della meta’ degli stipendi al netto di ritenute.

Da quanto sopra esposto, dunque, la pignorabilità di un quinto dello stipendio, nella generalità dei casi, dovrebbe essere concessa - a parte i crediti alimentari -  solo per crediti erariali. Proprio quelli che Equitalia è delegata a riscuotere.

Beni impignorabili per il nostro ordinamento giuridico

L’articolo 514 del codice di procedura civile prevede una lista di beni di prima necessità non pignorabili:

  1. le cose sacre e quelle che servono all'esercizio del culto;
  2. l’anello nuziale, i vestiti, la biancheria, i letti, i tavoli per la consumazione dei pasti con le relative sedie, gli armadi guardaroba, i cassettoni, il frigorifero, le stufe ed i fornelli di cucina anche se a gas o elettrici, la lavatrice, gli utensili di casa e di cucina unitamente ad un mobile idoneo a contenerli, in quanto indispensabili al debitore ed alle persone della sua famiglia con lui conviventi; sono tuttavia esclusi i mobili, meno i letti, di rilevante valore economico, anche per accertato pregio artistico o di antiquariato;
  3. i commestibili e i combustibili necessari per un mese al mantenimento del debitore e delle altre persone indicate nel numero precedente;
  4. gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore;[comma abrogato dall'articolo 3 l. 24 febbraio 2006, numero 52]
  5. le armi e gli oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un pubblico servizio;
  6. le decorazioni al valore, le lettere, i registri e in generale gli scritti di famiglia, nonchè i manoscritti, salvo che formino parte di una collezione.

Inoltre, gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall'ufficiale giudiziario o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito; il predetto limite non si applica per i debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro [articolo 515 comma 3, codice di procedura civile]

Fermo amministrativo sul veicolo utilizzato per l'attività professionale

Le modifiche al Decreto del Fare, chiariscono che la procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati è avviata dall’agente della riscossione con la notifica al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri di una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari, salvo che il debitore o i coobbligati, nel predetto termine, dimostrino all’agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all’attività di impresa o della professione.

È ovviamente necessario poter dimostrare che i veicoli siano strumentali all’attività svolta.

Prima, le ganasce fiscali scattavano in caso di mancato pagamento di somme dovute su tutti i beni mobili registrati, o meglio se non si provvedeva al versamento delle somme entro 60 o 90 giorni dalla notifica della cartella di pagamento o dell’accertamento esecutivo rispettivamente.

Dopo il fermo amministrativo si avevano ulteriori 20 giorni per saldare quanto dovuto, in caso di mancato versamento i beni mobili veniva iscritti in una speciale lista al Pra con il divieto di circolare fino all’avvenuto saldo, pena il pagamento di pesanti sanzioni (2500 euro).

Dopo le modifiche normative, poi però gli agenti di riscossione non potranno fare ricorso al fermo amministrativo nel caso il loro utilizzo sia funzionale al poter proseguire con il regolare svolgimento della propria attività.

La prova di questo deve essere fornita dal contribuente all'agente della riscossione entro 30 giorni dalla comunicazione preventiva.

Il Decreto del Fare porta inoltre da 20 a 30 i giorni a disposizione del contribuente per saldare gli importi richiesti dopo la comunicazione.

Pignoramento delle polizze vita

In teoria tutte le polizze vita sarebbero insequestrabili o impignorabili, almeno stando a quanto previsto dall'articolo 1923 del codice civile.

Le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario, non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare. Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, alla imputazione e alla riduzione delle donazioni.

Qualcosa invece è cambiato da quando la prima sezione della Corte di Cassazione con sentenza della prima sezione civile numero 8676 del 26 giugno 2000 ha dato una lettura restrittiva all'articolo 1923, con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo - nello specifico le polizze vita - cercasse uno espediente giuridico per porsi al riparo dei creditori.

Secondo la Suprema Corte il divieto di pignorabilità di cui all'articolo 1923 del codice civile riguarderebbe le sole somme corrisposte dall'assicuratore al momento della naturale cessazione del rapporto al fine della reintegrazione del danno occorso all'assicurato (o al beneficiario) a seguito degli eventi morte e/o sopravvivenza assicurati con le polizze vita. Pertanto, non ricadrebbero nell'ambito dell'articolo 1923 del codice civile le somme percepite dall'assicurato a fronte dell'eventuale riscatto della polizza e, quindi, a fronte dell'esercizio di un diritto di recesso ad nutum, posto che, in tale secondo caso, l'assicurato verrebbe a recuperare al suo patrimonio somme che, “pur realizzando lo scopo di "risparmio", non integrano tuttavia gli estremi della funzione "previdenziale".

Sull'argomento la Cassazione è ritornata con una sentenza a Sezioni Unite (31/3/2008, numero 8271) con la quale - sconfessando il precedente orientamento - ha sancito che il divieto di pignorabilità di cui al citato articolo 1923 del codice civile non riguarderebbe le sole somme assicurate ma anche quelle dovute dall'assicuratore a titolo di valore di riscatto delle polizze vita.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno stabilito la impignorabilità ed insequestrabilità ex articolo 1923 del codice civile delle polizze vita considerata “la funzione previdenziale riconoscibile al contratto di assicurazione sulla vita - quale forma di assicurazione privata (pur nelle possibili sue varie modulazioni negoziali), maggiormente affine agli istituti di previdenza elaborati dalle assicurazioni sociali - non circoscritta alle sole somme corrisposte a titolo di indennizzo o risarcimento” (e, quindi, estensibile anche a quanto eventualmente percepito dalla parte assicurata a titolo di riscatto).

Come se non bastasse, con la Sentenza numero 1107/10 del 11/6/2010, il Tribunale di Parma ha ritenuto inapplicabile alle polizze vita del tipo "due linked life policies" il divieto di pignorabilità di cui all'articolo 1923 del codice civile, attesa la natura esclusivamente finanziaria delle stesse, in quanto non apparivano preordinate a soddisfare bisogni di natura previdenziale, cioè i bisogni “legati all'età post lavorativa o derivanti dall'evento morte di colui che percepisce reddito dei quali anche altri si avvalga”.

Segnatamente, il Tribunale di Parma ha valorizzato i seguenti elementi nel ritenere che, nel caso di specie, le polizze vita del tipo "due linked life policies" costituissero dei veri e propri contratti di finanziamento (con conseguente, ritenuta, inapplicabilità del citato articolo 1923 del codice civile, che, come noto, costituisce una deroga all'articolo 2740 del codice civile):

  1. le polizze vita potevano essere riscattate in qualsiasi momento e nulla garantivano per l'assicurato, nemmeno il rientro del valore investito;
  2. i premi delle polizze vita erano stati corrisposti con versamento unico (tipico degli investimenti finanziari), diversamente da quanto avviene per le polizze previdenziali che prevedono solitamente il versamento periodico di un premio;
  3.  una delle due polizze vita aveva una durata fissa (e, precisamente, una durata di 6 anni e 4 mesi), a differenza delle polizze previdenziali, che, per lo più, vengono stipulate in relazione alla durata della vita intera della parte assicurata o beneficiaria;
  4.  la redditività delle due polizze vita era esclusivamente legata a fenomeni di tipo finanziario e, segnatamente, in un caso, al valore dell'indice azionario Dow Jones e, nell'altro caso, al rendimento di un fondo;
  5.  la redditività delle due polizze vita sarebbe anche potuta mancare in caso di negatività dei riferimenti finanziari, a differenza di quanto avviene nelle polizze sulla vita genuine, nelle quali è garantita, quantomeno, la restituzione integrale del capitale nominale .

La lettura della Sentenza ribadisce che i prodotti assicurativi di investimento “assolvono più a funzione di investimento di capitali che alla funzione di una tutela previdenziale” e conseguentemente “ne accerta e dichiara la pignorabilità”.  Trattandosi di una sentenza di primo grado sono naturalmente aperte le più svariate possibilità di diverso giudizio nei gradi successivi, se e quando vi si ricorrerà.

Pignoramento delle pensioni e minimo vitale

E' assolutamente impignorabile, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita.

Pertanto, può essere disposto il pignoramento solo nella misura di un quinto della quota di pensione netta mensile che va ad eccedere il minimo vitale.

Inoltre, è pignorabile nei soli limiti del quinto la residua parte, dovendo anche ritenersi che l’indagine circa la sussistenza o l’entità della parte di pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, e come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilità – con le sole eccezioni, tassativamente indicate, di crediti qualificati è rimessa, in difetto di interventi del legislatore al riguardo, alla valutazione in fatto del giudice dell’esecuzione ed è incensurabile in cassazione se logicamente e congruamente motivata.

Pignoramento conto corrente cointestato da parte di Equitalia

Il pignoramento da parte di Equitalia del conto corrente del debitore avviene, di solito, con forme più celeri e semplici rispetto ai normali pignoramenti tra privati.

Infatti, la normativa vigente permette ad Equitalia di procedere autonomamente, ordinando alla banca senza necessità di procedimenti in tribunale, di trasferire le somme.

Questa possibilità, però, decade nel caso di conto cointestato.

Come funziona allora, la procedura del pignoramento di un conto corrente da parte di Equitalia, se lo stesso è cointestato?

Il conto cointestato rientra nella nozione di bene comune indiviso, la cui espropriazione è disciplinata dalle regole generali del codice di procedura civile.

Se Equitalia procedesse secondo la normale riscossione esattoriale, infatti, finirebbe per pignorare l’intero estratto conto, il cui 50%, però, appartiene a un soggetto diverso, che non è debitore.

Da ciò derivano due conseguenze:

  • non si può procedere, in questi casi, al pignoramento per via extragiudiziale, ossia con l’ordine impartito direttamente alla banca o alla Posta di versarle le somme del debitore, senza passare dal giudice.
  • solo dopo la divisione del bene comune, ossia del conto corrente, è possibile l’assegnazione al creditore pignorante.

Cosa si evince da queste due considerazioni?

Per prima cosa equitalia dovrà provvedere secondo le norme valide per tutti i pignoramenti presso terzi: ossia con citazione a un’udienza davanti al tribunale.

All'udienza, dovrà partecipare la banca. Infine, ci sarà l’ordinanza del magistrato che dispone l’assegnazione delle somme pignorate. Il procedimento, quindi, sarà molto più lungo e, in alcune realtà locali, potrebbe richiedere diversi mesi.

Da notare, però, che durante il tempo che separa la notifica del pignoramento dall'udienza davanti al giudice, le somme in conto corrente del debitore vengono sostanzialmente “bloccate” in attesa dell'udienza stessa.

Inoltre, non si potranno comunque pignorare le somme accreditate quale ultimo emolumento a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento.

Nella fattispecie, quindi, di conto cointestato, Equitalia, non può comunque conseguire indifferenziatamente il saldo attivo del conto, perché questo si risolverebbe nell'espropriare somme appartenenti agli altri cointestatari non debitori.

Pignorabilità di beni inseriti in un fondo patrimoniale

Un'immobile inserito in un fondo patrimoniale non è suscettibile a pignoramento, salvo alcuni casi.

Infatti, per l'impignorabilità è necessario, in primis, che il il fondo patrimoniale non sia stato costituito da meno di cinque anni (entro i quali è possibile la revocatoria) e che il debito tributario non sia dipeso da attività commerciale strumentale al sostentamento della famiglia (per esempio, il caso di un’azienda che è unica fonte di reddito del nucleo familiare).

Pignoramento di importi superiori al quinto dello stipendio

Equitalia non può disporre il pignoramento di somme superiori al quinto dello stipendio del debitore, a meno che l'importo non confluisca sul conto corrente.

Da quel momento, infatti, la provvista è completamente suscettibile al pignoramento.

24 Settembre 2014 · Stefano Iambrenghi


Commenti e domande

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4 risposte a “Pignoramento esattoriale » Ecco dove il Fisco non può arrivare”

  1. Anonimo ha detto:

    SALVE , SEI ANNI ORSONO E’ STATO COSTITUITO FONDO PATRIMONIALE DI UNICO BENE IMMOBILIARE . TALE BENE E’ VERAMENTE UNICO E SOLA ENTRATA ECONOMICA (FITTO DA LOCAZIONE) DELLA FAMIGLIA. AD OGGI IL BENE E’ LIBERO DA IPOTECHE E PIGNORAMENTI-
    DOMANDO
    PUO’ , DOPO SEI ANNI, AGENZIA DELLE ENTRATE, ENTE COMUNALE O PRIVATO PIGNORARE I FRUTTI, OVVERO I FITTI DA LOCAZIONE O ISCRIVERE IPOTECHE SUL BENE COSTITUENTE FONDO PATRIMONIALE ?
    Grazie e saluti

    • Ludmilla Karadzic ha detto:

      Sì perchè, per giurisprudenza consolidata, i debiti derivanti dall’omesso o insufficiente versamento dei tributi, anche in relazione all’attività professionale di uno dei due coniugi costituenti il fondo patrimoniale, sono considerati conseguiti nell’interesse della famiglia, o comunque, procurano vantaggi patrimoniali alla famiglia. Insomma, i debiti, derivanti dall’omesso o insufficiente versamento dei tributi, sono considerati volti a soddisfare esigenze familiari.

  2. alberini ha detto:

    Come agirà Equitalia nei miei confronti: ho un debito di 40 mila euro che anno lievitato nel tempo. Allora avevo 22 mila euro, sono passati più di 10 anni, ma Equitalia non si muove per adesso. Avevamo il conto in banca congiunto ma adesso l’ho separato siamo sempre nella stessa banca.

    Equitalia puo arrivare a bloccare il conto? Noi siamo nulla tenenti, mi hanno fatto il fermo amministrativo al camper che non ho fatto in tempo a intestarlo ad un altro nome. Se cambio banca e lo stesso? Possono pignorare il lo stipendio? Mi dite come posso muovermi?

    • Ludmilla Karadzic ha detto:

      Equitalia può certamente pignorarle il conto: e le probabilità che agisca in tal senso sono senz’altro maggiori oggi che ha un conto corrente non intestato congiuntamente ad altri. Il suggerimento è quello di depositare eventuali liquidità su un conto corrente intestato a terzi: non serve cambiare banca, il problema è la titolarità del conto corrente.

      Equitalia può pignorarle lo stipendio nella misura di un decimo (10%) se la sua retribuzione, al netto di tasse e contributi, non supera i 2 mila e cinquecento euro.

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