Matrimonio e patrimonio » Un prontuario da conservare con cura

Matrimonio e patrimonio » Premessa

I due termini matrimonio e patrimonio trovano la loro genesi già nel Diritto Romano: infatti, se con il termine matrimonio (dal latino matrimonium, ossia mater, madre, e munus, compito) si indicava il “compito della madre”, con il termine patrimonium si indicava il “compito del padre”. Matrimonio quale unione di intenti, religiosi, economici, ma che abbisogna di regole e garanzie in una struttura statale.

Lo Stato Italiano ha dato valore e tutela costituzionale alle famiglie quali società naturali fondate sul matrimonio (articolo 29 Cost.

). L’evoluzione sia del costume sia della mentalità giuridica ha determinato la riforma del diritto di famiglia del 1975. Fu una svolta profonda. Basti pensare al trattamento giuridico della donna, all'istituto della “dote” ante riforma. Il matrimonio ha effetti sulla condizione sociale, giuridica ed economica dei figli e dei coniugi, produce un regime patrimoniale ed un' attività economica.

Obiettivo dell'articolo è esplorare le varie forme patrimoniali legate al matrimonio, per consegnare in mano del lettore una guida esauriente ed esaustiva.

Matrimonio e patrimonio » Comunione e separazione dei beni

Matrimonio e patrimonio sono parole intercambiabili. Lo dimostra il fatto che la legge ha scelto, dal 1975, la comunione dei beni tra coniugi come il migliore regime patrimoniale della coppia. Per preferire invece la separazione occorre un chiaro atto di volontà di entrambi i coniugi al momento delle nozze o anche dopo, ma in questo caso bisogna sottoscrivere una convenzione davanti al notaio.

Con la riforma del 1975 si è affermato un principio: quello della libertà dei coniugi di scegliere e regolamentare l’assetto dei propri rapporti patrimoniali (articolo 159 del codice civile).In qualsiasi momento, prima (alla celebrazione del rito) o dopo le nozze (con atto pubblico), i coniugi possono scegliere liberamente tra un regime di comunione o di separazione legale del patrimonio. Tale scelta risulterà nell’atto di matrimonio o presso i registri immobiliari.

Con la comunione legale dei beni le proprietà dei coniugi spettano, per legge, ad entrambi in parti uguali anche se sul titolo risulta proprietario uno solo dei coniugi.

Durante il matrimonio, con il regime di comunione, si può avere un bene in proprietà esclusiva, basta dichiarare nell’atto di acquisto che il bene è escluso dalla comunione con l’adesione dall'altro coniuge.

In alternativa, i coniugi formalizzeranno la separazione dei beni. In questo caso ciascun coniuge conserva la titolarità e godimento esclusivi dei beni acquistati durante il matrimonio.

Come accennato, se i coniugi non hanno ritenuto di far luogo alla separazione dei beni, scegliendo quindi il regime di comunione legale, possono sempre, durante il matrimonio, passare al regime di separazione dei beni, formalizzandolo con il previsto atto pubblico.

Con la separazione dei beni ciascun coniuge conserva la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio, beni di cui ha il godimento e l’amministrazione esclusivi.

Nulla vieta però che uno dei coniugi possa conferire all'altro procura per l’amministrazione dei propri beni, con o senza obbligo di rendiconto dei frutti.

Se non vi è obbligo di rendiconto, il coniuge che ha l’amministrazione dei beni è tenuto, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, a consegnare i frutti esistenti e non risponde di quelli consumati.

Se però un coniuge, nonostante l’opposizione dell'altro, ne amministra i beni o compie atti ad essi relativi, risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti.

La separazione dei beni viene di regola scelta, come già detto, per evitare che un coniuge possa coinvolgere nell’eventuale fallimento della propria attività commerciale anche i beni dell'altro.

Questo intento è perseguibile, ricordiamo, a patto che il regime di separazione dei beni sia stato annotato a margine dell'atto di matrimonio, altrimenti non è opponibile ai terzi, i quali sono peraltro sempre ammessi a dimostrare la simulazione della convenzione.

Comunione legale non significa però che un coniuge non possa acquistare in proprietà esclusiva, per esempio, un autoveicolo o un appartamento.

Matrimonio e patrimonio » Il regime della comunione legale

  1. in regime di comunione legale i beni inclusi sono: gli acquisti compiuti dai coniugi durante il matrimonio; le aziende costituite dopo il matrimonio e gestite da entrambi; i beni di cui nessuno dei due coniugi può dimostrare di essere proprietario; il reddito da lavoro dei coniugi, il reddito di un bene proprio di uno dei coniugi; i frutti dei beni propri percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione.
  2. in regime di comunione legale i beni esclusi sono: i beni di cui ciascun coniuge era proprietario prima del matrimonio; beni di uso personale; i beni occorrenti all'esercizio dell'attività professionale; le pensioni di invalidità; i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di successione o donazione. In regime di separazione dei beni, ciascuno dei coniugi mantiene la proprietà esclusiva non solo dei beni acquistati prima delle nozze, ma anche di quelli acquistati durante il matrimonio.

Comunque, parlando più burocraticamente, la legge indica in dettaglio quali sono i beni compresi nella comunione, e quali, invece, non vi rientrano.

Beni compresi nella comunione legale

  1. gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
  2. i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione : per es. risparmi depositati su libretti e conti correnti bancari e postali, canoni di locazione.
  3. i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati: per es. stipendi, pensioni, redditi professionali; rientra fra questi la cosiddetta indennità di accompagnamento (Cass. 27/4/2005, numero 8758); da ciò deriva che un coniuge non può vantare alcun diritto sulle somme attinte dall'altro dai proventi della sua attività (nel caso di specie artigianale) e consumati in regime di comunione legale (Cass. 16/7/2004, numero 13164).
  4. le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio

Se si tratta di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione riguarda solo gli utili e gli incrementi.

Beni esclusi dalla comunione legale

  1. i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
  2. i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
  3. i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
  4. i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;
  5. i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
  6. i beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto.
  7. l'acquisto di beni immobili, o di navi, galleggianti e aeromobili iscritti nei registri indicati dal codice della navigazione, e di autoveicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione ai sensi delle lettere c), d) ed f), quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge, nel senso che questi dev’essere intervenuto all'atto e aver confermato che trattasi di bene personale dell'altro coniuge (Cass. 3/6/2004, numero 19250). Se poi un coniuge versa sul proprio conto corrente il denaro ricavato dalla vendita di un bene personale, questo importo rimane nella sua esclusiva disponibilità (Cass. 20/1/2006, numero 1197).

Lo scioglimento della comunione legale

La comunione cessa con lo scioglimento: lo scioglimento, secondo l'articolo 191 del Codice Civile può aversi: per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi; per l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio; per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni; per il mutamento convenzionale del regime patrimoniale e per il fallimento di uno dei coniugi (per le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio lo scioglimento della comunione può essere deciso dai coniugi, pena nullità, solo con atto pubblico, che per essere opponibile ai terzi dev’essere annotato a margine dell'atto di matrimonio).

Quando può essere richiesta la separazione giudiziale dei beni

In particolare, la separazione giudiziale dei beni può essere chiesta nei seguenti casi:

  • in seguito a interdizione o inabilitazione di un coniuge;
  • per cattiva amministrazione della comunione;
  • se il disordine degli affari di un coniuge o la sua condotta mettono in pericolo gli interessi dell'altro, della comunione o della famiglia;
  • se un coniuge non contribuisce ai bisogni della famiglia in misura proporzionata alle proprie sostanze e capacità di lavoro.

Lo scioglimento della comunione comporta la divisione dei beni, che si effettua ripartendo fra i coniugi in parti uguali l’attivo e il passivo.

Il giudice può però, in relazione alle necessità dei figli e al loro affidamento, disporre l’usufrutto a favore di un coniuge su una parte dei beni spettanti all'altro.

In sede di divisione i coniugi o i loro eredi hanno il diritto di prelevare i beni mobili di cui erano proprietari prima della comunione o che erano loro pervenuti durante la medesima per donazione o successione.

Inoltre si deve far luogo, ricorrendone i presupposti, ai rimborsi e alle restituzioni. Così, se un coniuge ha prelevato dalla comunione delle somme da impiegare per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'articolo 186 del codice civile, è tenuto a restituirle. Al contrario, se ha prelevato dal patrimonio personale somme da impiegare per scopi inerenti alla comunione, ne può chiedere la restituzione.

Lo scioglimento della comunione legale si verifica solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa degli accordi di separazione consensuale.

Per rendere opponibile ai terzi lo scioglimento della comunione derivante dalla separazione personale, con riferimento agli atti di acquisto di beni immobili (o mobili registrati) contenenti la dichiarazione del coniuge acquirente del proprio status di separato, è necessaria la sola trascrizione della relativa nota nei registri immobiliari, e non anche l’annotazione del provvedimento di separazione a margine dell'atto di matrimonio.

Il fatto che all'atto del passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa degli accordi di separazione consensuale si sciolga la comunione non esclude che vi siano dei beni che, se esistenti a questo momento, continuino a far parte di essa: si parla in proposito di comunione residuale.

La riconciliazione dei coniugi separati determina l’automatico ripristino, del regime patrimoniale di comunione legale in vigore tra gli stessi anteriormente alla separazione.

Matrimonio e patrimonio » Comunione convenzionale

Una via di mezzo fra comunione legale e separazione dei beni è costituita dalla comunione convenzionale. Con essa i coniugi stabiliscono, sempre con atto pubblico, di mettere in comune soltanto alcuni beni, fra i quali, però, non possono essere compresi i beni di cui essi erano proprietari o titolari di altro diritto reale (per es. usufrutto) prima del matrimonio, i beni occorrenti all'esercizio della professione (con la sola esclusione di quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione), quelli ottenuti a titolo di risarcimento del danno e la pensione attinente alla perdita totale o parziale della capacità lavorativa.

Nel dar vita al regime di comunione convenzionale i coniugi, oltre ad enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questa situazione, non possono, in ordine ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale, derogare alle norme relative all'amministrazione e all'uguaglianza delle quote.

I beni della comunione convenzionale rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio, limitatamente al valore dei beni di proprietà del coniuge stesso prima del matrimonio che sono entrati a far parte della comunione convenzionale.

Matrimonio e patrimonio » Patto di famiglia

Il patto di famiglia (articolo 768 bis del codice civile) è un contratto che realizza un patto successorio, lecito, stipulato tra l’imprenditore con i suoi discendenti.

Il titolare trasferisce in vita l'azienda o le proprie quote, in tutto o in parte, a uno o più discendenti con atto pubblico a pena di nullità, e vi devono partecipare il coniuge e i discendenti in quanto il patto incide sui diritti di legittima.

Dopo la morte dell'imprenditore i non beneficiati non possono mettere in discussione il patto chiedendo la collazione o la riduzione della disposizione testamentaria.

Il patto può essere sciolto o modificato dalle stesse persone che l’hanno concluso.

I partecipanti al patto possono impugnare lo stesso nel termine di prescrizione di 1 anno.

I beneficiari liquidano gli altri con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote che avrebbero dovuto ricevere; se tale richiesta è avanzata all'apertura della successione dell'imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto il pagamento della quota aumentata degli interessi legali.

Il contratto, al quale devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore, dev’essere concluso per atto pubblico pena nullità.

Gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare agli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinuncino in tutto o in parte, una somma corrispondente al valore delle quote di legittima.

I contraenti possono convenire che la liquidazione avvenga, in tutto o in parte, in natura.

I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti.

Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione.

All’apertura della successione dell'imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma di cui sopra, aumentata degli interessi legali.

Il patto di famiglia può essere sciolto o modificato dalle stesse persone che l’hanno concluso, in uno dei seguenti modi:

  1. stipulando un contratto diverso dal precedente ma avente le stesse caratteristiche e gli stessi presupposti si legge;
  2. mediante recesso, se espressamente previsto dal “patto”, e, necessariamente, mediante dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.

Matrimonio e patrimonio » Impresa familiare

L’impresa familiare non è altro che un’impresa individuale nella quale collaborano anche i familiari dell'imprenditore.

Il codice civile tuttavia richiede la presenza di requisiti ben precisi affinché sia configurabile l’ipotesi dell'impresa familiare: ciò sia in merito al tipo dell'opera prestata, sia al concetto di familiare.

Innanzi tutto ricordiamo che l’istituto dell'impresa familiare è disciplinato dall'Articolo 230 bis del codice civile.

Secondo tale norma l’impresa familiare è costituita da un titolare, e da uno o più familiari (collaboratori), che prestano in modo continuativo la loro attività di lavoro nell’impresa o nella famiglia.

E’ fondamentale quindi notare come, in merito al tipo di lavoro prestato, esso debba essere non di tipo occasionale. Quindi la collaborazione una tantum, del tutto occasionale e sporadica, non configura l’esistenza di un’impresa familiare.

Altrettanto importante è rilevare che tale opera può essere prestata non solo all'interno dell'azienda, ma anche all'interno della famiglia.

In entrambi i casi non deve essere tuttavia configurabile un diverso tipo di rapporto, quale ad esempio un rapporto di lavoro subordinato.

Per quanto concerne il concetto di familiare il suddetto articolo precisa che si devono considerare familiari: il coniuge, i parenti entro il terzo grado (ad esempio: figli, genitori, fratelli, nonni, ecc..) e gli affini entro il secondo grado (ad esempio: suoceri, nuore, generi, cognati).

Al familiare che partecipa all'impresa familiare spettano una serie di diritti di natura economica e non.
I diritti di natura economica sono:

  • il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
  • il diritto a partecipare agli utili dell'impresa familiare, ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento. Il tutto in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Fra i diritti di natura non economica ricordiamo:

  • il diritto di intervenire nelle decisioni relative l’impiego degli utili e degli incrementi del patrimonio aziendale;
  • il diritto di partecipare alle decisioni relative alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa;
  • il diritto di essere preferiti a terzi in caso di cessione dell'azienda;
  • il diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria.

La possibilità da parte dei familiari di intervenire su alcune decisioni inerenti la vita dell'azienda, non deve far pensare minimamente ad un’intenzione del legislatore di disciplinare un’azienda gestita da più persone.

L’impresa familiare rimane a tutti gli effetti un’impresa individuale, nella quale solo l’imprenditore è l’unico titolare del diritto di assumere decisioni in merito alla vita dell'azienda, essendo altresì l’unico che assume il rischio derivante dall'esercizio dell'impresa.

Egli, infatti, rimane l’unico responsabile di fronte ai terzi e l’unico passibile di fallimento in caso di insolvenza.

In effetti, l’Articolo 230 bis, parla esplicitamente di partecipazione agli utili, ma non prevede anche la partecipazione alle perdite.

L’impresa familiare assume valore, quindi, solo all'interno della famiglia e se il legislatore ha voluto prevedere, in alcune ipotesi, la possibilità dei familiari di intervenire nelle scelte aziendali, va ricordato che tali ipotesi sono situazioni di straordinaria amministrazione, legate a momenti particolari della vita dell'impresa e quindi della famiglia.

Matrimonio e patrimonio » Fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale è l’insieme di beni mobili, immobili o titoli di credito destinato e vincolato ai bisogni familiari. Tale fondo può venire applicato sia in regime di comunione che di separazione dei beni.

Il fondo patrimoniale può essere costituito da uno o da entrambi i coniugi per atto pubblico, ma anche da un terzo (da quest’ultimo anche mediante testamento), per sopperire ai bisogni della famiglia.

Il fondo può essere formato sia da beni immobili che da beni mobili registrati e da titoli di credito.

La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale, salvo che l’atto costitutivo disponga altrimenti, spetta ad entrambi i coniugi, mentre la loro amministrazione è regolata dalle norme che regolano quella della comunione legale, di cui s’è detto nel primo articolo.

I frutti derivanti dal fondo patrimoniale vengono impiegati per sopperire ai bisogni della famiglia.

Se non è stato espressamente previsto nell’atto di costituzione, i beni del fondo patrimoniale non possono essere alienati, ipotecati, dati in pegno o altrimenti vincolati se non con il consenso di entrambi i coniugi (se vi sono figli minori occorre anche l'autorizzazione del giudice), e nei soli casi di necessità o utilità evidente.

Il Tribunale di Verona (sentenza del 30/5/2000) ha però stabilito che, se l’atto costitutivo del fondo patrimoniale, concordato tra i coniugi, li dispensa espressamente dall'autorizzazione del Tribunale ove intendano, d’accordo, alienare beni conferiti nel fondo, la presenza di figli minorenni non comporta la necessità di detta autorizzazione.

Non è infrequente che il fondo patrimoniale venga costituito al solo scopo di sottrarre i beni che ne costituiscono l’oggetto alle ragioni dei creditori.

Questi possono però vanificare la manovra giovandosi, ricorrendone i presupposti, dell'azione revocatoria.

La costituzione del fondo patrimoniale integra un atto a titolo gratuito e non di adempimento dell'obbligo giuridico di mantenere la famiglia; di conseguenza, in caso di fallimento dei coniugi che hanno conferito i beni, la costituzione del fondo, se intervenuta nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, è priva di effetti per i creditori (Cass. 8/9/2004, numero 18065).

Il fondo patrimoniale cessa in seguito all'annullamento, allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Se però vi sono dei figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio, ed in tal caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l’amministrazione del fondo. Il giudice può anche, valutate le condizioni economiche dei genitori e dei figli, e ogni altra circostanza, attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo.

Se non vi sono figli trovano applicazione le norme sullo scioglimento della comunione legale.

Matrimonio e patrimonio » Il Trust

Il Trust è uno strumento giuridico che permette di far amministrare i beni per conto di un beneficiario, trasferendoli in un “contenitore” rimanendone di fatto proprietari.

In Trust si possono conferire tutte le tipologie di beni come ad esempio:

  • beni immobili (Case);

  • beni mobili iscritti in pubblici registri (Auto, Barche);

  • somme di denaro (Investimenti);
  • crediti; - partecipazioni societarie;
  • opere d’arte.

Quando si può utilizzare un Trust

Trust di famiglia:

  1. tutela della integrità e della destinazione del patrimonio famigliare.
  2. Tutela dei componenti “deboli” della famiglia (interazioni con la tutela la curatela e l’amministrazione di sostegno
  3. Sistemazioni in occasione di crisi della famiglia d)Verso la divisione ereditaria
  4. Vicende del capitale di rischio della famiglia e vicende dell'azienda di proprietà famigliare
  5. Acquisti immobiliari operati dai genitori per conto dei figli
  6. Rapporti con il fondo patrimoniale
  7. Patrimonio della famiglia e patrimonio dei famigliari

Matrimonio e patrimonio » Le gestioni Mobiliari

Il conferimento di liquidità in trust può consentire la partecipazione in fondi comuni, l'acquisto di beni mobili ed immobili, l’acquisizione di quote societarie comprensive dei diritti amministrativi connessi (che naturalmente saranno esercitati dal Trustee), la costituzione ex- novo di società affidate al gestore

Matrimonio e patrimonio » Le gestioni di patrimoni immobiliari

Il conferimento in trust di unità immobiliari ha come effetto quello di affidarne l’amministrazione al Trustee. I proventi di tale gestione possono essere corrisposti al beneficiario, così come possono diventare parte integrante dell'oggetto del trust.
Disciplina fiscale

In alcuni casi la disciplina fiscale dei Trust può essere conveniente con riferimento soprattutto al paese della legge che lo disciplina. In ogni caso anche nei Trust interni si ricordi che per l’istituzione del Trust si è soggetti alla sola importa di registro in tassa fissa.

Matrimonio e patrimonio » Prospettive per il futuro

Le prospettive future per il riconoscimento in Italia del Trust sono abbastanza buone. Vi sono sempre progetti di legge al vaglio ed il lavoro di ricerca in tal senso è in costante aumento. In ogni caso vi sono ancora alcune considerazioni legate ai Trust da dimenticare:

  1. I Trusts non sono uno strumento illecito al quale ricorrere per costruire complicati meccanismi che consentano di conseguire vantaggi fiscali o di eludere o evadere le imposte.Questo è un uso distorto dell'istituto per gestire particolari operazioni societarie che nulla hanno a che fare con il Trust e con quanto di esso si potrà fare in futuro ed è compito di ogni professionista intervenire in tal senso;
  2. i Trusts non sono uno strumento al quale ricorrere solo a fronte di ingenti patrimoni o di notevoli interessi economici anzi, spiegano ottimi effetti, come l’esperienza anglosassone insegna, soprattutto nelle piccole realtà famigliari e in ambito successorio;
  3. i trusts non sono in contrasto con le norme imperative del nostro ordinamento ed in particolare con le norme sulla proprietà e sui diritti reali minori, con le norme in materia di trascrizione né infine con l’articolo 2740 del codice civile, essendo I creditori sempre tutelati dall'azione revocatoria generale.

12 Settembre 2013 · Carla Benvenuto


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