Mantenimento figlio trentenne » Legittimo se studia e non ha un lavoro

Mantenimento figlio dopo divorzio » Legittimo anche se ha trent'anni, studia e non lavora

Maschio, 30 anni, laureato, precario, con alcuni rapporti di lavoro alle spalle e a caccia non solo di occupazione ma anche di specializzazione.

Sembra l’annuncio pubblicato da un’azienda, e, invece, è la fotografia, sempre più realistica, dei giovani italiani, con potenziali ripercussioni non solo sull’economia nazionale ma anche sugli equilibri familiari.

Infatti, il padre divorziato deve mantenere il figlio anche se ha trent’anni, studia e non ha un lavoro.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione la quale, con la sentenza numero 11020/13, ha sancito che: L'obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell'articolo 148 Cc non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post - universitario del soggetto e alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione (nella specie, nonostante il figlio avesse trent'anni e aveva lavorato solo per un breve periodo di tempo con retribuzione e che doveva ancora frequentare la scuola di specializzazione, non aveva raggiunto una propria completa autosufficienza economica, dunque legittimo il mantenimento da parte del padre).

Secondo i supremi Giudici, tale obbligo perdura fino alla sua indipendenza economica, purché non dipenda da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso.

Mantenimento figlio dopo divorzio » Il fatto

A protestare è un uomo, divorziato, e obbligato, secondo quanto deciso in Tribunale, non solo a provvedere all'ex moglie, con un assegno mensile da 826 euro, ma anche al mantenimento dei due figli, con un contributo mensile di quasi 1.200 euro.

Ma il vero scoglio è rappresentato dalla quota riservata per il figlio più grande, laureato in Medicina, già sopra ai 30 anni, e con alcune collaborazioni professionali alle spalle.

Secondo il padre è discutibile ipotizzare una non raggiunta indipendenza economica del figlio più grande, ma per i giudici, sia in Tribunale che in Corte d’Appello, invece, il giovane non aveva raggiunto una propria completa autosufficienza economica.

Fondamentale la constatazione che il 30enne aveva lavorato solo per un breve periodo di tempo con retribuzione irrilevante, prima all'estero e poi in Italia con brevi collaborazioni con cliniche private, e ora, per giunta, doveva frequentare la scuola di specializzazione.

L'uomo, contestando duramente queste due sentenza, propone ricorso per Cassazione.

Ma la prima sezione civile, in linea con la Corte capitolina, ha ritenuto che l'obbligo del padre al mantenimento del figlio, non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi.

Infatti, come da consolidata giurisprudenza, è necessario dimostrare che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica, oppure che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto.

Ma, aggiungono subito gli Ermellini, questa valutazione va fatta applicando criteri di relatività, tenendo cioè conto di aspirazioni, percorso scolastico, universitario e post universitario» del ragazzo e, soprattutto, avendo ben presente la situazione attuale del mercato del lavoro.

In questa ottica, è decisivo il richiamo al percorso, di studio e professionale, compiuto dal giovane, e caratterizzato, alla fine, da lavori con retribuzioni risibili.

Insomma, nonostante il figlio avesse trent'anni e avesse lavorato solo per un breve periodo di tempo con retribuzione e che doveva ancora frequentare la scuola di specializzazione, non aveva raggiunto una propria completa autosufficienza economica: per questo, secondo Piazza Cavour, è legittima la misura dell'assegno del contributo di mantenimento presa dai giudici di merito. Ricorso respinto.

10 Giugno 2013 · Andrea Ricciardi


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