Mancata conversione del contratto di lavoro a tempo indeterminato – Può essere eccepita a distanza di anni

Il lavoratore che voglia contestare l'illegittimità di un contratto a termine, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è dovuta l'assunzione a tempo determinato, e che sia interessato alla eventuale conversione ex-lege del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, può agire in giudizio anche dopo anni di inerzia, purchè emerga chiaramente che non vi sia stata una esplicita risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso.

Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, infatti, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.

In pratica, grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro.

Pertanto, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, anche se protratta per due o tre anni o anche più, non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso.

Riepilogando, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non procedere alla conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, laddove ne ricorrano le condizioni, non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro (ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso).

Anche la eventuale incontestata accettazione del TFR da parte del lavoratore non è indicativa di una tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine.

Quelli appena esposti sono i principi enunciati dai giudici della Corte di cassazione nella sentenza 18032/15.

16 Settembre 2015 · Tullio Solinas


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