Le procedure di recupero crediti – il punto di vista del creditore

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C'è la crisi

Quante volte nei prossimi tempi un creditore si sentirà rispondere così? Ormai lo hanno capito anche i sassi che non ce la passeremo bene. Ok, ma ora che fare?I governi si mobilitano, le banche corrono ai ripari, tutti si lamentano, ma, come al solito, i furbi ci sguazzano.

Già l’Italia è sempre stata il paradiso dei debitori inadempienti, ma ora hanno pure la scusa pronta. Non sarebbe il caso, invece, proprio perché butta male per tutti, di togliere qualche arma ai soliti lestofanti?

Va bene la social card, passi per il bonus che fa tanto animo pio, d’accordo evitare i fallimenti delle banche, digeribile a fatica il solito aiutino alle grandi aziende, ottimo rilanciare le costruzioni di infrastrutture, ma mi sembrerebbe cosa buona e giusta avere un occhio di riguardo anche per tutte le persone oneste, senza santi in paradiso, che combattono quotidianamente la dura lotta del recupero dei propri sacrosanti crediti.

Il famigerato popolo delle partite IVA

Quei disgraziati imprenditori, quel famigerato popolo di partite IVA che tiene in piedi l’Italia, ma, quando emette una fattura, può affidarsi solo alla buona sorte e sperare di trovarsi di fronte un debitore onesto, merce sempre più rara.

D’altronde, chi glielo fa fare a un debitore di sborsare quei 200 euro + IVA? Tanto sa bene che nel sistema di (in)giustizia italiano vige solo la legge dell'articolo Quinto: chi deve i soldi ha vinto. La patria della burocrazia fine a se stessa dà il meglio di sé per dissuadere anche il più tenace. E così, 100 da uno, 300 dall'altro, 1500 a babbo morto e le aziende vanno in fallimento che è un piacere.

Vale la pena di avviare un procedimento giudiziario per il recupero dei propri crediti?

Vale la pena, d’altra parte, di avviare un procedimento giudiziario per pochi spiccioli, magari per una sola fattura? Solo per presentarsi dal Giudice di Pace o in Tribunale per ottenere un decreto ingiuntivo, bisogna prima passare dal notaio a farsi rilasciare un estratto autentico delle scritture contabili da cui risulti la registrazione, altrimenti neppure lo prendono in considerazione.

Sia che si tratti di una fattura da 100 che da 100.000 euro, la tariffa notarile prevede un obolo fisso di 72 euro + bollo da 14,62. Così, giusto come benvenuto nella via crucis. Lo Stato però non si accontenta dell'estratto notarile e pretende, per qualsiasi cifra, un bel ricorso, con tutti i crismi di legge, documentazione, fascicolo di parte e cartacce varie. Volendo, per cifre irrisorie, il creditore potrebbe far da sé, ma in pratica, vista la complicazione delle procedure, di solito viene interpellato un avvocato.

Ora, saremo anche una categoria di avidi disgraziati, ma, con tutta la buona volontà, un avvocato può anche chiedere il minimo indispensabile, però il più delle volte le difficoltà e il tempo che si perde per un procedimento non dipendono certo dal valore, mentre la tariffa sì.

Il legale è il primo a convincere il cliente ad accettare un concordato con il debitore

Ecco perché, spesso accade che il legale sia il primo a dissuadere il cliente dal proseguire, spingendolo magari ad accettare una cifra inferiore a titolo transattivo. Non è cattiveria, l’onesto ci rimette e il furbo risparmia, ma, tra costi e tempi, in Italia impera la logica del “pochi, maledetti e subito”, che, come vedrete, alla fine è spesso la soluzione migliore e più economica per lo stesso creditore, che rischia altrimenti di rimetterci.

Se, infatti, il debitore neppure si degna di rispondere (succede ormai sempre più spesso) oppure il creditore si impunta, parte la trafila nelle aule giudiziarie.

Alcuni esempi illuminanti sulla scarsa convenienza del recupero crediti giudiziale

Per semplificare faccio solo due esempi, per un credito di 100 e per uno di 3.000, tanto la maggior parte oscillano fra queste cifre.

Per il primo, visto che è inferiore ai due milioni del vecchio conio, lo Stato si accontenta di un contributo per le spese di giustizia di 23 euro, e, in teoria, dovrebbe essere esente da altre spese. In pratica, tra bolli per fare le copie e spese di notifica, un’altra trentina di euretti si sborsano. Quindi, su un credito di 100, solo per richiedere il decreto ingiuntivo, se ne sono già spesi circa 140.

Per il credito di 3.000, invece, apparentemente il rapporto costi/benefici è ancora favorevole, visto che le spese iniziali ammontano a circa 160, ma le botte arrivano dopo. Per l’avvocato varia molto a seconda delle situazioni, tra chi non chiede nulla in anticipo al cliente e poi spera di recuperare le spese dal debitore, chi concorda una percentuale sull’incassato e chi va a tariffa indipendentemente dal risultato ottenuto, e allora son dolori, in particolare se il debitore fa perdere le tracce.

D’altra parte, non è cinismo, ma un lavoro come un altro e va retribuito. In linea di massima, si può ipotizzare quindi che l’avvocato richieda tra i 50 e i 200 euro al creditore per l’attività svolta. Tutto quello che riuscirà a recuperare dal debitore sarà tanto di guadagnato.

Ed ora il procedimento, o meglio la quintessenza della burocrazia legale. Igiudici malfidati non possono certo accontentarsi della parola del notaio, dell'avvocato e del creditore, ci mancherebbe. Quindi, salvo casi rari, difficile che emettano un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo.

Se non fosse che il precedente governo Berlusconi ha modificato in parte la norma, addirittura fino al 2006 non era neppure sufficiente un documento sottoscritto dal debitore per ottenerlo, il che la dice lunga. Quindi, dopo circa un paio di mesi dal ricorso, se fortunato, il creditore ha ottenuto un decreto non esecutivo ovvero un pezzo di carta che andrà notificato al debitore, a mezzo dell'immarcescibile ufficiale giudiziario.

Da quel momento occorre aspettare altri 40 giorni per l’eventuale opposizione che si spera il debitore non faccia, altrimenti parte un procedimento ordinario e i tempi sono quelli tristemente noti. Purtroppo, se il furbo ha le spalle coperte fa opposizione solo per guadagnare tempo, ma è raro per cifre minime, perché dovrebbe pagare un avvocato e, giudice di buon cuore permettendo, se non ha argomenti validi, alla prima udienza si può ottenere comunque la provvisoria esecutività.

La giustizia è dalla parte del debitore

Se, pertanto, il debitore resta inerte (tanto la giustizia italiana è dalla sua parte, perché affannarsi?), passati i 40 giorni, il creditore può chiedere che il decreto diventi esecutivo. Mica in automatico, ci mancherebbe. L’avvocato va in Tribunale e chiede che sia dichiarato esecutivo, poi, il decreto passa dal giudice che lo ricontrolla, che non si sa mai, mette la sua firma, quindi ritorna in cancelleria, per l’apposizione medievale della formula esecutiva (“Comandiamo a tutti gli Ufficiali Giudiziari...”, una comica!). Circa due settimane, se sono efficienti e il giudice non si è dimenticato.

E poi? Qui, davvero raggiungiamo picchi di burocrazia mai visti. Il decreto, con tutto il seguito di scartoffie, viene inviato all'Ufficio del Registro, l’ente più inutile, costoso e antidiluviano che si sia mai visto. Una macchina creata solo per spillare soldi ai contribuenti, ma di questo scriverò un’altra volta. Perché deve essere registrato, visto che proviene da un giudice ed è un atto pubblico? Perché lo Stato possa lucrare la tangente. Punto.

Per i crediti sotto i due milioni di vecchie lire, evidentemente si vergogna della propria avidità ed esenta dalla registrazione, ma sopra, essendo le nostre fatture soggette ad IVA, indipendentemente dal valore pretende 339,72 euro cash.

Quindi, il nostro buon avvocato va in banca e paga l’F23. Siamo nell’era digitale, ma banca e uffici erariali si scambiano dati solo per controllare gli evasori, mica chi paga. Quindi, l’avvocato col modulino timbrato a dovere torna all'Ufficio del Registro, fa la coda d’ordinanza (se si sono evoluti gli danno pure il numeretto), deposita allo sportello del Protocollo il modulo, con allegata copia della propria carta d’identità (Perché? Boh. Sia mai che il primo che passa trova un F23 e lo deposita perché non ha niente di meglio da fare), ottiene la sua bella ricevuta e torna in studio a chiedersi perché non ha fatto l’impiegato pubblico col posto fisso, ma tant’è.

Finito? Macché. Dall'Ufficio Protocollo dell'Ufficio del Registro, il modulo dopo qualche tempo, con comodo, passa all'Ufficio Atti Giudiziari sempre dello stesso Ufficio del Registro (tutti Uffici, tutti maiuscoli), dove la solerte impiegata controlla che sia tutto in regola e, dopo circa due mesi, se sono rapidi, torna in Tribunale, dove finalmente l’avvocato può tornare a chiedere di avere l’agognato titolo esecutivo. Ovviamente previa richiesta scritta, pagamento dei bolli (7,23 euro), qualche giorno di attesa e un secondo accesso per il ritiro, che un po’ di moto fa sempre bene per questi pelandroni sedentari.Fino a qualche anno fa, non c’era speranza di ottenerlo se prima non si versava l’imposta di registro, poi, per fortuna, alla Corte Costituzionale si sono mossi a pietà e impongono alle cancellerie di rilasciare il titolo anche senza la previa registrazione.

Una piccola rivoluzione, un grande passo per le cancelliere che ancora storcono il naso, ma almeno si cerca di evitare che il povero creditore disgraziato continui ad anticipare le spese, senza vedere neppure la fine del tunnel.

Quindi tutta la procedura all'Ufficio del Registro può essere saltata, o meglio solo rinviata perché non è che ora non si debba comunque registrare, per carità.

Semplicemente danno il tempo e la possibilità al creditore di cercare di recuperare l’importo prima dal debitore. Se questo è uccel di bosco, l’Ufficio del Registro, inesorabile prima o poi bussa alla sua porta e li pretende, ma almeno ci ha provato.

Finalmente l'agognato decreto ingiuntivo. Ma cosa farsene?

È stata dura, ma alla fine il creditore ha il suo agognato decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.

Che ci fa? Un quadretto? Spesso, purtroppo, solo quello, perché da quel momento, se il debitore continua a non pagare spontaneamente, deve cominciare la procedura di esecuzione forzata.

Questo, però, è un altro girone dell'inferno dantesco che per il momento vi risparmio.

Piuttosto, oggi mi chiedo: ma è davvero necessario questo calvario? Possibile che non ci sia un metodo più sbrigativo? È davvero indispensabile passare per il Giudice di Pace o per il Tribunale.

Già i nostri uffici giudiziari sono ingolfati di cause e non ha, quindi, alcun senso sobbarcarli di un procedimento che si riduce, alla fin fine, ad un mucchio di scartoffie da controllare, di timbri e di firme da apporre. Procedimento che costa un mucchio di soldi al creditore e anche allo Stato che deve mantenere in piedi la baracca, oltre che comportare tempi biblici.

Perché non approfittare della situazione di crisi, liberare i giudici di questo inutile fardello e agevolare allo stesso tempo i creditori?

Un possibile rimedio per agevolare i creditori

Già che dal notaio bisogna comunque passarci per ottenere l’estratto delle scritture contabili, perché non lasciare fare tutto a lui, che ci sguazza nelle scartoffie ed è pur sempre un pubblico ufficiale laureato in giurisprudenza?

Il notaio controlla le fatture, verifica i libri contabili e tutti i documenti che gli presenta il creditore, compila un bel modulo prestampato, e lo spedisce direttamente al debitore, dandogli magari 20 giorni di tempo per opporsi, rispondendo direttamente al notaio.

Questi controlla l’opposizione, se verifica che è priva di fondamento (il più delle volte ci vuole un attimo), rende esecutivo il titolo, altrimenti invita il debitore ad opporsi entro ulteriori 20 giorni davanti al Tribunale o al Giudice di Pace, instaurando un procedimento ordinario, dove sarà il giudice a valutare, come già oggi, alla prima udienza se concedere comunque la provvisoria esecutività, oppure attendere l’esito del giudizio.

Se nel termine concesso il debitore non presenta opposizione formale al giudice, il notaio rende esecutivo il titolo e il creditore può avviare il recupero forzato.

Il notaio ovviamente viene pagato, possibilmente concordando già delle tariffe fisse con lo Stato, ma il creditore evita di sborsare bolli e imposte di registro (anche se a questa dubito che lo Stato rinunci) e di pagare pure l’avvocato che, vi assicuro, si libera volentieri di queste rogne noiose e improduttive.

È solo un’idea, da elaborare attentamente, ma mi sembra che così ci guadagnino un po’ tutti: lo Stato che risparmia sulle spese di giustizia e alleggerisce il carico dei giudici, il notaio che incassa gli onorari, il creditore che risparmia un mucchio di spese e ottiene il titolo in meno tempo, gli avvocati che consumano di meno la suola delle scarpe tra un ufficio pubblico e l’altro.

Gli unici che ci perdono sono i debitori furbi che subiscono una deroga all'articolo Quinto e magari finalmente si decidono a pagare le fatture alla scadenza.
Sogno? Non ci restano che quelli... in fondo... sa... c’è la crisi.

di Barbara di Salvo

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14 Gennaio 2009 · Paolo Rastelli




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