La convenienza della rinegoziazione “secondo Tremonti” è legata al reddito

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Ridurre la rata del mutuo a tasso variabile ricorrendo alla Convenzione Abi-Governo o continuare a pagare lo stesso importo? Se lo stanno chiedendo molte famiglie italiane che al ritorno dalle vacanze hanno trovato nella cassetta delle lettere la proposta di rinegoziazione inviata dalla banca. Sulla bilancia, ogni mutuatario dovrà contrapporre il beneficio immediato di un abbassamento dell'esborso mensile (o trimestrale) al rischio di allungamento della durata originaria e aumento dell'onere complessivo del finanziamento.

In base ai termini dell'accordo, infatti, la differenza fra la rata calcolata secondo il vecchio piano di ammortamento e quella rinegoziata confluirà a partire dal 2009 su un conto di finanziamento accessorio regolato al tasso Irs a 10 anni (attualmente il 4,76%) aumentabile fino allo 0,5 per cento. La scelta ruota attorno a una serie di fattori soggettivi, fra i quali quelli più importanti sono la situazione finanziaria della famiglia e la durata residua del mutuo contratto, ed è tutt'altro che semplice.

Proprio per questo Il Sole 24 Ore ha elaborato quattro differenti simulazioni, casi concreti che possono avvicinarsi alla situazione di ogni singolo risparmiatore e orientarlo alla decisione. Ragionando in termini generali – come si può osservare nelle tabelle in basso – la possibilità di abbassare la rata è elevata per i mutui contratti di recente e scende notevolmente per i prestiti più datati: si va da una riduzione del 15,7% del quarto esempio (finanziamento acceso nel 2006) al 5,3% del primo caso (2000). Un esempio, quest'ultimo, sintomatico di come la Convenzione sia in fondo poco utile per tutti quei mutui che hanno raggiunto o superato la metà del piano di rimborso.

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Il rischio, in generale, è poi quello del maggior onere complessivo e dell'allungamento del prestito a cui si va incontro, un effetto negativo che cresce per i mutui recenti e con il piano di ammortamento più lungo. Ipotizzando un andamento dei tassi futuri che ripeta gli alti e bassi visti in questi ultimi tre anni, il prestito da 80mila euro a 15 anni contratto nel 2000 risulterà infatti più costoso di soli 151 euro rispetto all'originale e si allunga di due mesi. Chi invece ha sottoscritto nel 2006 un mutuo da 130mila euro a 25 anni e volesse avvalersi della Convenzione subirà un aggravio aggiuntivo di ben 21.458 euro (4,5% in più del mutuo di partenza) e dovrà continuare a versare le rate per 32 mesi oltre la scadenza originaria.

In questi casi sarà presumibilmente la situazione finanziaria della famiglia a far pendere da una delle due parti l'ago della bilancia. Per chi trova difficoltà nell'onorare i pagamenti mensili, la rinegoziazione potrebbe essere l'unica alternativa possibile, come dimostrano gli ultimi due esempi. Nel caso del dipendente con coniuge a carico che ha acceso nel 2004 un mutuo ventennale da 120mila euro, il rapporto fra il valore della rata attuale (855 euro) e il reddito disponibile (2mila euro) risulta ben oltre la soglia del 30% individuata dalle banche per distinguere le situazioni a rischio: ridurla di 100 euro sarebbe quindi particolarmente utile, anche a costo di rendere il mutuo più costoso alla lunga.

Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, per il lavoratore single che ha contratto un mutuo da 130mila euro a 25 anni nel gennaio 2006, che dalla diminuzione dei pagamenti da 828 a 698 euro potrebbe trarre una significativa boccata d'ossigeno. Chi non incontra ancora difficoltà nel far fronte alla rata – è il caso dei primi due esempi, dove il rapporto rata/reddito disponibile resta sotto il 30% – potrebbe invece trovare più conveniente le vie della rinegoziazione, surroga e sostituzione rilanciate a suo tempo dal decreto Bersani.

di Maximilian Cellino

da Il Sole24Ore

27 Agosto 2008 · Piero Ciottoli