Contratti di prestito » Interessi corrispettivi, interessi moratori, cumulo e raffronto con il tasso soglia di usura – La clausola di salvaguardia

Cumulo degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori ai fini della verifica del superamento del tasso soglia anti-usura

Bisogna innanzitutto che si faccia chiarezza su cosa si debba intendere come cumulo degli interessi corrispettivi e moratori.

L’interesse corrispettivo costituisce la remunerazione concordata per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta. L’interesse di mora, secondo quanto previsto dall'articolo 1224 del codice civile, rappresenta invece il danno conseguente l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria.

Secondo la regola generale, l’interesse di mora è dovuto nella misura legale o, se maggiore, nella medesima misura degli interessi corrispettivi eventualmente previsti dal contratto. È fatta salva la possibilità per il creditore di provare il maggior danno.

Il comma 2 dell'articolo 1224 del codice civile prevede che il saggio degli interessi moratori possa essere convenuto fra le parti, nel qual caso, non è dovuto l’ulteriore risarcimento.

Ciò posto, in materia di rapporti bancari, può discutersi di cumulo degli interessi corrispettivi con quelli moratori convenzionali in due accezioni differenti.

La prima dipende dalla tecnica di redazione dei contratti bancari. Sovente, infatti, tali contratti prevedono che il tasso degli interessi moratori si ottenga sommando uno spread, ossia un incremento di percentuale, al saggio degli interessi corrispettivi. Ad esempio, se gli interessi corrispettivi sono determinati nella misura x%, il ritardato pagamento determinerà una maggiorazione di y punti percentuali e gli interessi moratori saranno dunque pari a (y+x)%.

Quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di cumulo. In realtà, non si tratta della contemporanea percezione di due diverse specie di interessi. La banca percepisce soltanto gli interessi moratori, il cui tasso è, però, determinato tramite la sommatoria innanzi descritta.

Quindi, è al valore complessivo e non ai soli punti percentuali aggiuntivi che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso di interesse moratorio effettivamente applicato e percepito.

La seconda dimensione nella quale si pone un problema di cumulo di interessi corrispettivi e moratori è, in una certa misura, collegata alla prima. Nei rapporti bancari, soprattutto nei mutui con rata di ammortamento, si suole distinguere - secondo il gergo bancario - la fase dell’incaglio, in cui i pagamenti del cliente divengono problematici, ma la situazione non si è deteriorata a tal punto da dover formulare un giudizio prognostico negativo circa le sue capacità di ripianare la propria esposizione debitoria, dal passaggio a sofferenza, che si verifica nel momento in cui la banca, esercitando il potere di recesso unilaterale attribuitole dal contratto, determina la chiusura del rapporto, con il conseguente obbligo per il cliente di restituire tutte le somme mutuate e non ancora corrisposte, con decadenza dal beneficio del termine (articolo 1186 del codice civile).

Nella fase dell’incaglio è frequente che intervengano solleciti di pagamento non accompagnati dall’esercizio del diritto di recesso. Questi, pur non determinando la chiusura del rapporto, sono efficaci nel costituire in mora il debitore ai sensi dell’articolo 1219 del codice civile e, quindi, comportano il decorso degli interessi moratori, che si producono dal giorno della mora del debitore e, trattandosi di obbligazioni pecuniarie, da quel momento il creditore ha diritto a percepire gli interessi moratori senza dover fornire la prova di aver sofferto alcun danno.

Ciò che accade in concreto è che il cliente, dal giorno in cui diviene moroso, è tenuto a corrispondere anche lo spread che costituisce la maggiorazione convenzionale degli interessi moratori. Ora, se il rapporto fosse definitivamente chiuso (ovvero, se la banca avesse esercitato il potere di recesso unilaterale), non vi sarebbe nessuna incertezza nel qualificare l’intero interesse percepito come avente natura moratoria. Nella misura in cui, invece, il rapporto è ancora aperto, vi è la sensazione che il cliente continui a corrispondere l’interesse corrispettivo quale remunerazione per il godimento del denaro ed inoltre l’interesse moratorio per il ritardato adempimento. In questa prospettiva, l’interesse di mora (costituito dal solo spread) sembra cumularsi con l'interesse corrispettivo, conservando ciascuno dei due la propria individualità e funzione giuridica.

A chi ravvisa, in questa evenienza, un vero e proprio cumulo si deve però controbattere che l'articolo 1224 del codice civile prevede espressamente che dal giorno della mora sono dovuti gli interessi moratori nella stessa misura degli interessi previsti "prima della mora", ossia a titolo corrispettivo. Ne deriva, dunque, che pure in questa ipotesi non si determina alcun cumulo effettivo. Gli interessi corrisposti dal cliente moroso sono tutti di natura moratoria, sia per quel che concerne la maggiorazione prevista dal contratto nel caso di ritardato pagamento, sia per la parte corrispondente, nell'ammontare, agli interessi corrispettivi previsti prima della mora ma che, per effetto di quest’ultima, ha cambiato natura.

In definitiva, nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi costituiscono la controprestazione del debitore mentre gli interessi moratori hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento. Gli interessi, pertanto, non si possono fra loro cumulare. Tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale (spread), è al valore complessivo risultante da tale somma, non ai soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati.

La nullità del contratto di prestito quando il tasso di interesse moratorio supera il tasso soglia di usura degli interessi moratori

Come noto, la Banca d’Italia provvede alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (intesi come media dello spread da applicare agli interessi corrispettivi - in pratica è stata rilevata una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali rispetto alla media degli interessi corrispettivi).

Pertanto si può calcolare, uno spread soglia di usura maggiorando di un quarto la media dei tassi convenzionali di mora rilevata dalla Banca d'Italia, più altri 4 punti percentuali, proprio come la legge 108/1996, all'articolo 2, comma 4, prevede per l'individuazione del tasso soglia di usura per gli interessi corrispettivi. Nella fattispecie lo spread soglia di usura si posiziona intorno al 6,6% circa.

Tuttavia, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interesse concretamente applicato, senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la parte corrispettiva da quella moratoria, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, al tasso soglia di usura ordinario va sommato lo spread soglia di usura come sopra individuato.

I presupposti per l'applicazione dell'articolo 1815, comma 2, del codice civile, da un lato, e dell'articolo 1384 del codice civile, dall'altro, sono differenti: la nullità comminata dall'articolo 1815, secondo comma, del codice civile presuppone, infatti, la violazione formale del tasso soglia, sicché la clausola contrattuale è usuraria o non usuraria anche per un solo centesimo di punto percentuale in più o in meno.

L'articolo 1384 del codice civile, invece, consente al giudice di intervenire tutte le volte in cui ritiene l'eccessività del saggio di mora convenuto fra le parti, a prescindere dalla circostanza che oltrepassi o sia attestato al di sotto del tasso soglia. Pertanto, il giudice potrà ridurre ad equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo.

La clausola di salvaguardia utilizzata nei contratti di finanziamento al fine di evitare lo sforamento del tasso di interesse oltre la soglia di usura

Si tratta di una clausola particolarmente diffusa nella contrattazione bancaria, a partire dall'entrata in vigore della legge 108/1996, secondo cui, quale che sia la fluttuazione del saggio di interesse convenzionalmente pattuito, esso non potrà mai superare il tasso soglia, che ne costituisce quindi il tetto massimo.

Dal punto di vista pratico tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del cliente: infatti, ai sensi dell'articolo 1815 del codice civile, comma 2, se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

La clausola di salvaguardia, dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell’usura, previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca.

In pratica, in tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola di salvaguardia, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del tasso soglia antiusura previsto dalla legge 108/1996, articolo 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell'oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell'impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all'impegno assunto.

Le considerazioni fin qui svolte ed i principi di diritto enunciati sono stati tratti dall'ordinanza 26286/2019 della Corte di cassazione.

20 Ottobre 2019 · Simonetta Folliero




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