Quando l’abuso dei mezzi di disciplina e correzione nei riguardi del figlio minore sfocia nel reato di maltrattamenti in famiglia
Il minore è ormai considerato un soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione: anche la dignità del minore è tutelata dall'ordinamento.
Pertanto, non può ritenersi mezzo di correzione o disciplina l'uso abituale della violenza a scopi educativi, anche perché non può perseguirsi lo sviluppo armonico della personalità del minore usando un mezzo violento che tale fine contraddice.
Consegue che l'eccesso di mezzi di correzione violenti concretizza il reato di maltrattamenti in famiglia e non rientra nella fattispecie prevista dal Codice penale (artcolo 571) che riguarda il semplice abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.
Infatti, non è idonea a far rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti, ad esempio, in continue umiliazioni, rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche, lesioni, espressioni offensive e degradanti proferite nei riguardi del minore.
Anche la decisione di non rivedere più il proprio figlio, con la consapevolezza della sofferenza psichica che una tale condotta può arrecare al minore, integra il reato di di maltrattamenti in famiglia.
Insomma, cancellata definitivamente la figura del "Padre padrone".
Così hanno deciso i giudici della Corte di cassazione, sezione penale, nella sentenza 30436/15.
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