Economia islamica: una vera rivoluzione finanziaria e culturale

banca islamica

Anche il TG3 di sabato 7 marzo finisce col non fare eccezione e, pur informando sul convegno alla Facoltà di economia con Sami Al Suwailem (vicepresidente della Islamic Development Bank), è legato ai tempi contati dei servizi e finisce col fornire solo poche briciole al telespettatori sui contenuti straordinari della finanza islamica, e neppure tutti i più importanti.

Ci aiuta di più la pagina economica del “Secolo XIX” di giovedì 5 marzo, che vi invito davvero a procurarvi, con un articolo a firma Roberto Scarcella.

Il testo è corredato da una foto di una filiale della Islamic Bank con ingressi separati per uomini e donne (!), ma, a mia discolpa, devo dire che non sto portando in auge l’Islam per festeggiare l’integrazione tra i sessi o cos’altro.

Si tratta, invece, di prendere quello che c’è di buono da ogni parte del mondo e, a fianco di un sistema economico che stritola le risorse e si preoccupa del Dio denaro, c’è chi invece, attingendo al Corano, si promuove per aiutare il singolo e le sue iniziative.

Scarcella ha intervistato, tra l’altro, anche Alfredo Maiolese, dell'International States Parliament for Security and Peace e personaggio conosciuto della comunità islamica del capoluogo regionale, che si batte per realizzare l’apertura di uno sportello all'interno di una delle banche della città. Non ci credete ancora, vero, sui contenuti rivoluzionari di questo sistema bancario che, una volta che il progetto andasse a buon fine, non sarà aperto solo ai musulmani? E allora, in poche righe, parliamo del principio cardine di questo tipo di economia: vietati gli interessi, le banche dovranno sostenersi sui costi di servizio. E ancora, riportiamo testualmente da pag. 14: “… Se per esempio gli interessi sui mutui occidentali sono volatili, nella finanza islamica si concorda un prezzo al momento dell'acquisto dell'immobile e quello resta. Con un altro distinguo: se in Europa si diventa insolventi è facile perdere la proprietà della casa, o subire interventi da parte degli istituti di recupero crediti - spiega Maiolese -. La regola islamica impone che si faccia di tutto prima di arrivare a far perdere l’immobile. Si aspettano tempi migliori. E non sono rari i casi in cui lo stesso istituto di credito trova un lavoro a chi non ha più i soldi per ripagarsi la casa…”. Poi ci sono i casi di sponsorizzazione da parte delle banche di idee ritenute meritevoli. La banca ci mette il denaro e il cliente si occupa della sua realizzazione. Dividendi per entrambi i soggetti e se c’è una perdita è tutta per la banca. E i fallimenti? Se si è avuto un comportamento corretto durante l’attività non si è segnati per sempre e, con una nuova idea valida, si può ritornare a essere rifinanziati. Sì, non è proprio quello che succede nel nostro mondo… Però, mentre l’articolista parla adottando il tempo “futuro” (“Genova sarà anche la prima città italiana ad aprire con convinzione le porte alla finanza islamica…”), la sottoscritta, meno fiduciosa, avrebbe usato il condizionale. Della serie, finché non ci sarà, non ci credo. I colossi bancari italiani seguono altri principi.

di Laura Sergi

10 Marzo 2009 · Antonio Scognamiglio


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5 risposte a “Economia islamica: una vera rivoluzione finanziaria e culturale”

  1. fabrizio martalo ha detto:

    Da qualche anno a questa parte, noi occidentali abbiamo sentito ripetere spesso, attraverso i mass media, che una delle prescrizioni in campo economico del Corano, il Libro sacro che contiene tutte le norme che regolano la vita di ogni musulmano, è quella che vieta categoricamente il pagamento di un tasso di interesse e proibisce di richiedere la restituzione di una somma maggiore di quella prestata. Pertanto, qualsiasi pagamento che è superiore alla quantità di denaro data in prestito è riba, cioè usura. Come recita infatti il Corano “Quel che voi prestate a riba perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio. Ma quello che date in elemosina, bramosi del Volto di Dio, quello vi sarà raddoppiato” (Corano XXX,39). Il termine riba, individua piuttosto un principio di morale e di etica sociale a garanzia dell’equità delle operazioni commerciali, prevenendo ogni forma di sfruttamento e a difesa dei valori di solidarietà a cui si dovrebbe ispirare la società islamica.

    La moltiplicazione e l’espansione delle banche islamiche, fenomeno qualitativamente e quantitativamente determinante della finanza islamica, ha assunto una dimensione tale in questi ultimi anni da far orientare l’interesse e l’attenzione degli operatori dell’economia e della finanza occidentale verso questa realtà che opera a livello mondiale con un patrimonio stimato in oltre 750 miliardi di dollari, ad un tasso di crescita compreso tra il 10 e il 15 per cento. Il termine “banca islamica” non si riferisce all’Istituto di credito con sede nei Paesi islamici né alle loro filiali operanti all’estero, ma solo alla banca che nello svolgimento della sua attività applica rigorosamente i precetti e i dettami contenuti nella Shari’a, la via maestra che porta alla salvezza, rivelata da Dio al Profeta Muhammad e che attualmente regola il vivere quotidiano di 1,6 miliardi di musulmani nel mondo.

    Da un punto di vista operativo, questo sistema bancario si basa sulla proibizione del tasso di interesse e sulla condivisione del rischio nei rapporti tra banca, destinatario del finanziamento e risparmiatori. Con l’applicazione del metodo del profit and loss sharing (compartecipazione nei profitti e nelle perdite), la remunerazione (o assenza di remunerazione) dei depositi bancari e degli investimenti operativi della banca non è legata alla dimensione temporale, come nel caso delle banche occidentali, la cui attività di intermediazione dei capitali si basa sul pagamento di un tasso di interesse, ma è determinata in relazione agli utili (o alle perdite) dell’operazione finanziata, secondo una percentuale di partecipazione stabilita nel contratto.

    Il diverso approccio alla concessione del credito porta a valutare in maniera diversa la richiesta di affidamento. Per la banca occidentale, essendo prioritaria la restituzione del prestito, la cosa fondamentale sono le garanzie offerte dall’azienda e dai soci. Particolare attenzione viene data alla solidità patrimoniale dell’azienda e alla capacità di produrre reddito. La banca di diritto islamico, al contrario, concentrerà la sua attenzione sul progetto imprenditoriale, oggetto del finanziamento, e lo valuterà in funzione della sua possibilità di produrre utili.

    L’ Islamic banking ha indicato un nuovo modo di concepire il rapporto tra attività economica e religione. La sua “materia prima” non è tanto il denaro, ma una nuova rete di rapporti, collaborazioni, partecipazioni il cui obiettivo non è la massimizzazione speculativa dei dividendi quanto l’indicazione di un nuovo approccio nella gestione degli affari, in cui potrebbero trovare spazio motivazioni etiche e di sviluppo sostenibile in considerazione del fatto che Dio ha creato tutte le cose nella quantità necessaria per soddisfare i bisogni dell’umanità, e la scarsità è frutto del comportamento umano che è guidato dal desiderio di accumulazione.

    Inoltre, la modalità, invalsa nella concezione di banca occidentale, di fissare in anticipo un determinato tasso di interesse, viene considerata una precauzione nei confronti degli imprevisti del futuro e un tentativo di sottrarsi alla supremazia della volontà divina.

    Nell’era della globalizzazione del sistema bancario, il rispetto di questa proibizione è assicurato da un consiglio di sorveglianza composto da accademici ed esperti di diritto islamico, denominato Shari’a Board che è responsabile di certificare la coerenza dell’operatività della banca, dei servizi e prodotti offerti – valutandone sia la natura giuridica che l’impatto sociale – con i precetti islamici. Esso, quando lo ritiene opportuno, esclude dal bilancio le operazioni coinvolte dall’applicazione del tasso di interesse e ne devolve gli utili in beneficienza o ad organizzazioni umanitarie. Questo consiglio di esperti, con il perfezionamento degli strumenti finanziari verificatosi nel corso degli ultimi anni, è continuamente esposto alle richieste dei consigli di amministrazione delle banche che adottano il diritto islamico in merito alla possibilità di avvalersi delle stesse opportunità di investimento e di utilizzare le tecniche finanziarie delle banche occidentali. Lo Shari’a Board definisce, quindi, le condizioni che devono rispettare gli accordi e i contratti sottoscritti dalla banca e i criteri con cui selezionano le società nelle quali investire. Allo stesso organo di esperti compete fornire pareri legali (fatawa) ai quali la banca deve sottostare, ed emettere un giudizio complessivo sull’andamento finanziario annuale della banca. E’ un organismo che svolge sia compiti di controllo interno sia funzioni di garanzia a tutela dei soci in merito al rispetto dei criteri di eticità propri dell’attività della banca islamica, dal momento che gli investitori non sono in grado di poter effettuare nessun controllo di questo tipo.

    Sono diversi i servizi e gli strumenti finanziari, caratterizzati da una struttura più complessa e sofisticata, che trovano posto nel sistema bancario islamico, sui quali lo Shari’a Board di ogni banca deve esprimere un giudizio di liceità, e tra questi rientrano la Lettera di Credito e la Lettera di Garanzia.

    La Lettera di Credito può essere emessa dalla banca su richiesta del suo cliente non solo esigendo da quest’ultimo il deposito della somma equivalente al valore complessivo delle merci importate ma anche in base al principio della partecipazione agli utili e del murabaha.

    Nel primo caso la banca considera l’emissione della Lettera di Credito come una forma di finanziamento, per cui parteciperà ai rischi dell’operazione e agli utili ottenuti secondo percentuali prestabilite. Nel secondo caso, invece, la banca importa su richiesta del cliente i beni pagando la sua corrispondente estera con disponibilità proprie e successivamente rivende le merci al suo cliente ad un prezzo uguale al costo dei beni più un margine di guadagno.

    Le banche di diritto islamico possono emettere una Lettera di Garanzia e il compenso può essere rappresentato dal pagamento di una commissione oppure dal beneficio del deposito gratuito per tutto il periodo della garanzia o ancora, considerandola una forma di investimento come la Lettera di Credito, da una quota degli utili dell’operazione per la quale la lettera era stata concessa.

    La legge islamica vieta anche ogni contratto che si basi sulla speculazione e sull’incertezza. Pertanto, sono vietati strumenti molto utilizzati dalla finanza occidentale come i futures ( l’impegno ad acquistare o vendere un determinato bene ad una scadenza e ad un determinato prezzo), le opzioni ( con le quali l’investitore si riserva la possibilità di eseguire o no un contratto ad una data stabilita) e gli strumenti derivati ( contratti molto rischiosi basati sull’acquisto o vendita di futures, opzioni, titoli o tassi di interessi).

    Il divieto di riba si estende anche all’investimento in titoli di stato e in obbligazioni societarie i cui rendimenti sono basati sul tasso di interesse.

    L’emissione di sukuk (in arabo titoli di debito) consente di beneficiare degli stessi vantaggi collegati all’obbligazione di tipo occidentale, e cioè il pagamento periodico di cedole e il rimborso del capitale a scadenza.

    Nell’obbligazione islamica, i fondi raccolti mediante l’emissione dei certificati vengono utilizzati per finanziare progetti shari’a compliant. Il rendimento è dato dai profitti che genera nel tempo il progetto, per es. una società emette dei certificati per finanziare la costruzione di una autostrada, chi ha acquistato tali titoli è remunerato con gli utili dei pedaggi.

    Nella finanza islamica vi è una stretta relazione tra strumenti finanziari e attività reali sottostanti. Ne deriva che mentre il pagamento della cedola di un’obbligazione di tipo occidentale non dipende dall’andamento degli asset sottostanti, il rendimento del sukuk è invece strettamente legato a tale andamento.

    Per molto tempo il contratto di assicurazione è stato considerato dal mondo musulmano haram, proibito, in quanto tutti gli avvenimenti della vita, compresa la morte di un familiare, sono espressione della libera volontà divina e pertanto da non ostacolare ed accettare consapevolmente. La legge islamica, come abbiamo visto, stabilisce il divieto di maysir (speculazione) e gharar (incertezza), entrambe ravvisabili nell’attività assicurativa convenzionale. Infatti, l’assicuratore, prefigurando un comportamento speculativo, si augura che l’ammontare dei premi incassati superi quello dei sinistri pagati, generando così un surplus. D’altro canto, l’assicurato versa un premio per garantirsi di un beneficio incerto, in quanto può non concretizzarsi ( se l’evento dannoso non si verifica ), o che supera di molto il premio pagato ( nel caso invece si verifichi il sinistro ).

    Il diritto commerciale islamico ha così elaborato l’assicurazione islamica ( takaful ), assimilabile ad un contratto di mutuo soccorso dove l’elemento di solidarietà prevale sulla componente speculativa, nella quale gli assicurati cooperano tra loro alla creazione di un fondo da cui attingere per pagare eventuali indennizzi a vantaggio di coloro che devono affrontare le conseguenze di un sinistro.

    L’Islam, comunque, se da un lato esorta il fedele musulmano ad accettare gli eventi sfortunati della vita, dall’altro non proibisce categoricamente di proteggersi dagli avvenimenti avversi e consente di fronteggiare le loro conseguenze negative. A questo proposito è illuminante un racconto riportato nella Sunna del Profeta, nel quale Muhammad consiglia ad un beduino, che aveva lasciato slegato il suo cammello perché aveva fiducia in Allah, di legare il suo cammello e poi di avere fede in Dio.

    Gli esperti di giurisprudenza islamica, comunque, benché ritengano il contratto di assicurazione pienamente lecito ed esente dal pericolo di incorrere nel maysir, in quanto ha finalità solo di reciproca solidarietà e non speculativa, ha ravvisato ugualmente la non compatibilità del contratto perché persiste l’incertezza (gharar ) del verificarsi dell’evento dannoso e il ricorso all’indennizzo.

    Grazie all’intervento della scuola malikita, che ha introdotto il termine al-tabarru (donazione), la questione è stata risolta positivamente in quanto è stato possibile configurare il versamento del premio dell’assicurato come una donazione al fondo comune e l’indennizzo come un atto di donazione da parte degli altri assicurati a favore di chi ha subito il danno. La fattispecie del gharar , in questo caso, non si realizza perché siamo in presenza di contratti gratuiti.

    Nonostante si possa pensare che a volte la superiorità morale di norme sacre non vada d’accordo con i criteri di efficienza e convenienza economica e che un’attività bancaria basata sul principio della partecipazione agli utili ha bisogno, per ottenere buoni risultati, di un contesto culturale particolare è, altresì, indubbio l’esordio positivo dell’esperienza bancaria islamica sia per il recupero e l’utilizzazione a fini produttivi nel mondo musulmano di ingenti risorse finanziarie che altrimenti avrebbero preso differenti destinazioni, sia per le potenzialità future di una simile attività bancaria nell’ambito della riscoperta di una diversa modernità svincolata dall’influenza culturale occidentale.

    Forse qualcuno, in presenza dell’attuale crisi economica e finanziaria globale, potrebbe chiedersi se la finanza islamica possa rappresentare la soluzione e costituire un modo per uscire da questa situazione di malessere.

    Probabilmente, considerato l’ambito circoscritto del sistema bancario islamico, e che la crisi ha compromesso tutti i mercati del mondo (legati da vincoli molto stretti) e dunque anche quelli islamici, una maggiore diffusione delle banche di diritto islamico non ci avrebbe risparmiato questo periodo di grande difficoltà e incertezza economica.

    Credo, però, che il sistema finanziario globale abbia bisogno di un maggior adeguamento a standard etici condivisi, a regole morali che mirino al raggiungimento del bene comune attraverso una saggia gestione dell’economia e che i mercati debbano essere guidati dai valori e dalla responsabilità delle persone. Questo, forse, ci avrebbe risparmiato una crisi di queste proporzioni.

    Fabrizio Martalò, bancario, svolge la sua attività presso l’Ufficio Estero-Merci della Banca Sella Sud Arditi Galati a Lecce; è uno studioso della lingua e cultura araba, e del sistema bancario islamico

  2. fabrizio martalo ha detto:

    Da qualche anno a questa parte, noi occidentali abbiamo sentito ripetere spesso, attraverso i mass media, che una delle prescrizioni in campo economico del Corano, il Libro sacro che contiene tutte le norme che regolano la vita di ogni musulmano, è quella che vieta categoricamente il pagamento di un tasso di interesse e proibisce di richiedere la restituzione di una somma maggiore di quella prestata. Pertanto, qualsiasi pagamento che è superiore alla quantità di denaro data in prestito è riba, cioè usura. Come recita infatti il Corano “Quel che voi prestate a riba perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio. Ma quello che date in elemosina, bramosi del Volto di Dio, quello vi sarà raddoppiato” (Corano XXX,39). Il termine riba, individua piuttosto un principio di morale e di etica sociale a garanzia dell’equità delle operazioni commerciali, prevenendo ogni forma di sfruttamento e a difesa dei valori di solidarietà a cui si dovrebbe ispirare la società islamica.

    La moltiplicazione e l’espansione delle banche islamiche, fenomeno qualitativamente e quantitativamente determinante della finanza islamica, ha assunto una dimensione tale in questi ultimi anni da far orientare l’interesse e l’attenzione degli operatori dell’economia e della finanza occidentale verso questa realtà che opera a livello mondiale con un patrimonio stimato in oltre 750 miliardi di dollari, ad un tasso di crescita compreso tra il 10 e il 15 per cento. Il termine “banca islamica” non si riferisce all’Istituto di credito con sede nei Paesi islamici né alle loro filiali operanti all’estero, ma solo alla banca che nello svolgimento della sua attività applica rigorosamente i precetti e i dettami contenuti nella Shari’a, la via maestra che porta alla salvezza, rivelata da Dio al Profeta Muhammad e che attualmente regola il vivere quotidiano di 1,6 miliardi di musulmani nel mondo.

    Da un punto di vista operativo, questo sistema bancario si basa sulla proibizione del tasso di interesse e sulla condivisione del rischio nei rapporti tra banca, destinatario del finanziamento e risparmiatori. Con l’applicazione del metodo del profit and loss sharing (compartecipazione nei profitti e nelle perdite), la remunerazione (o assenza di remunerazione) dei depositi bancari e degli investimenti operativi della banca non è legata alla dimensione temporale, come nel caso delle banche occidentali, la cui attività di intermediazione dei capitali si basa sul pagamento di un tasso di interesse, ma è determinata in relazione agli utili (o alle perdite) dell’operazione finanziata, secondo una percentuale di partecipazione stabilita nel contratto.

    Il diverso approccio alla concessione del credito porta a valutare in maniera diversa la richiesta di affidamento. Per la banca occidentale, essendo prioritaria la restituzione del prestito, la cosa fondamentale sono le garanzie offerte dall’azienda e dai soci. Particolare attenzione viene data alla solidità patrimoniale dell’azienda e alla capacità di produrre reddito. La banca di diritto islamico, al contrario, concentrerà la sua attenzione sul progetto imprenditoriale, oggetto del finanziamento, e lo valuterà in funzione della sua possibilità di produrre utili.

    L’ Islamic banking ha indicato un nuovo modo di concepire il rapporto tra attività economica e religione. La sua “materia prima” non è tanto il denaro, ma una nuova rete di rapporti, collaborazioni, partecipazioni il cui obiettivo non è la massimizzazione speculativa dei dividendi quanto l’indicazione di un nuovo approccio nella gestione degli affari, in cui potrebbero trovare spazio motivazioni etiche e di sviluppo sostenibile in considerazione del fatto che Dio ha creato tutte le cose nella quantità necessaria per soddisfare i bisogni dell’umanità, e la scarsità è frutto del comportamento umano che è guidato dal desiderio di accumulazione.

    Inoltre, la modalità, invalsa nella concezione di banca occidentale, di fissare in anticipo un determinato tasso di interesse, viene considerata una precauzione nei confronti degli imprevisti del futuro e un tentativo di sottrarsi alla supremazia della volontà divina.

    Nell’era della globalizzazione del sistema bancario, il rispetto di questa proibizione è assicurato da un consiglio di sorveglianza composto da accademici ed esperti di diritto islamico, denominato Shari’a Board che è responsabile di certificare la coerenza dell’operatività della banca, dei servizi e prodotti offerti – valutandone sia la natura giuridica che l’impatto sociale – con i precetti islamici. Esso, quando lo ritiene opportuno, esclude dal bilancio le operazioni coinvolte dall’applicazione del tasso di interesse e ne devolve gli utili in beneficienza o ad organizzazioni umanitarie. Questo consiglio di esperti, con il perfezionamento degli strumenti finanziari verificatosi nel corso degli ultimi anni, è continuamente esposto alle richieste dei consigli di amministrazione delle banche che adottano il diritto islamico in merito alla possibilità di avvalersi delle stesse opportunità di investimento e di utilizzare le tecniche finanziarie delle banche occidentali. Lo Shari’a Board definisce, quindi, le condizioni che devono rispettare gli accordi e i contratti sottoscritti dalla banca e i criteri con cui selezionano le società nelle quali investire. Allo stesso organo di esperti compete fornire pareri legali (fatawa) ai quali la banca deve sottostare, ed emettere un giudizio complessivo sull’andamento finanziario annuale della banca. E’ un organismo che svolge sia compiti di controllo interno sia funzioni di garanzia a tutela dei soci in merito al rispetto dei criteri di eticità propri dell’attività della banca islamica, dal momento che gli investitori non sono in grado di poter effettuare nessun controllo di questo tipo.

    Sono diversi i servizi e gli strumenti finanziari, caratterizzati da una struttura più complessa e sofisticata, che trovano posto nel sistema bancario islamico, sui quali lo Shari’a Board di ogni banca deve esprimere un giudizio di liceità, e tra questi rientrano la Lettera di Credito e la Lettera di Garanzia.

    La Lettera di Credito può essere emessa dalla banca su richiesta del suo cliente non solo esigendo da quest’ultimo il deposito della somma equivalente al valore complessivo delle merci importate ma anche in base al principio della partecipazione agli utili e del murabaha.

    Nel primo caso la banca considera l’emissione della Lettera di Credito come una forma di finanziamento, per cui parteciperà ai rischi dell’operazione e agli utili ottenuti secondo percentuali prestabilite. Nel secondo caso, invece, la banca importa su richiesta del cliente i beni pagando la sua corrispondente estera con disponibilità proprie e successivamente rivende le merci al suo cliente ad un prezzo uguale al costo dei beni più un margine di guadagno.

    Le banche di diritto islamico possono emettere una Lettera di Garanzia e il compenso può essere rappresentato dal pagamento di una commissione oppure dal beneficio del deposito gratuito per tutto il periodo della garanzia o ancora, considerandola una forma di investimento come la Lettera di Credito, da una quota degli utili dell’operazione per la quale la lettera era stata concessa.

    La legge islamica vieta anche ogni contratto che si basi sulla speculazione e sull’incertezza. Pertanto, sono vietati strumenti molto utilizzati dalla finanza occidentale come i futures ( l’impegno ad acquistare o vendere un determinato bene ad una scadenza e ad un determinato prezzo), le opzioni ( con le quali l’investitore si riserva la possibilità di eseguire o no un contratto ad una data stabilita) e gli strumenti derivati ( contratti molto rischiosi basati sull’acquisto o vendita di futures, opzioni, titoli o tassi di interessi).

    Il divieto di riba si estende anche all’investimento in titoli di stato e in obbligazioni societarie i cui rendimenti sono basati sul tasso di interesse.

    L’emissione di sukuk (in arabo titoli di debito) consente di beneficiare degli stessi vantaggi collegati all’obbligazione di tipo occidentale, e cioè il pagamento periodico di cedole e il rimborso del capitale a scadenza.

    Nell’obbligazione islamica, i fondi raccolti mediante l’emissione dei certificati vengono utilizzati per finanziare progetti shari’a compliant. Il rendimento è dato dai profitti che genera nel tempo il progetto, per es. una società emette dei certificati per finanziare la costruzione di una autostrada, chi ha acquistato tali titoli è remunerato con gli utili dei pedaggi.

    Nella finanza islamica vi è una stretta relazione tra strumenti finanziari e attività reali sottostanti. Ne deriva che mentre il pagamento della cedola di un’obbligazione di tipo occidentale non dipende dall’andamento degli asset sottostanti, il rendimento del sukuk è invece strettamente legato a tale andamento.

    Per molto tempo il contratto di assicurazione è stato considerato dal mondo musulmano haram, proibito, in quanto tutti gli avvenimenti della vita, compresa la morte di un familiare, sono espressione della libera volontà divina e pertanto da non ostacolare ed accettare consapevolmente. La legge islamica, come abbiamo visto, stabilisce il divieto di maysir (speculazione) e gharar (incertezza), entrambe ravvisabili nell’attività assicurativa convenzionale. Infatti, l’assicuratore, prefigurando un comportamento speculativo, si augura che l’ammontare dei premi incassati superi quello dei sinistri pagati, generando così un surplus. D’altro canto, l’assicurato versa un premio per garantirsi di un beneficio incerto, in quanto può non concretizzarsi ( se l’evento dannoso non si verifica ), o che supera di molto il premio pagato ( nel caso invece si verifichi il sinistro ).

    Il diritto commerciale islamico ha così elaborato l’assicurazione islamica ( takaful ), assimilabile ad un contratto di mutuo soccorso dove l’elemento di solidarietà prevale sulla componente speculativa, nella quale gli assicurati cooperano tra loro alla creazione di un fondo da cui attingere per pagare eventuali indennizzi a vantaggio di coloro che devono affrontare le conseguenze di un sinistro.

    L’Islam, comunque, se da un lato esorta il fedele musulmano ad accettare gli eventi sfortunati della vita, dall’altro non proibisce categoricamente di proteggersi dagli avvenimenti avversi e consente di fronteggiare le loro conseguenze negative. A questo proposito è illuminante un racconto riportato nella Sunna del Profeta, nel quale Muhammad consiglia ad un beduino, che aveva lasciato slegato il suo cammello perché aveva fiducia in Allah, di legare il suo cammello e poi di avere fede in Dio.

    Gli esperti di giurisprudenza islamica, comunque, benché ritengano il contratto di assicurazione pienamente lecito ed esente dal pericolo di incorrere nel maysir, in quanto ha finalità solo di reciproca solidarietà e non speculativa, ha ravvisato ugualmente la non compatibilità del contratto perché persiste l’incertezza (gharar ) del verificarsi dell’evento dannoso e il ricorso all’indennizzo.

    Grazie all’intervento della scuola malikita, che ha introdotto il termine al-tabarru (donazione), la questione è stata risolta positivamente in quanto è stato possibile configurare il versamento del premio dell’assicurato come una donazione al fondo comune e l’indennizzo come un atto di donazione da parte degli altri assicurati a favore di chi ha subito il danno. La fattispecie del gharar , in questo caso, non si realizza perché siamo in presenza di contratti gratuiti.

    Nonostante si possa pensare che a volte la superiorità morale di norme sacre non vada d’accordo con i criteri di efficienza e convenienza economica e che un’attività bancaria basata sul principio della partecipazione agli utili ha bisogno, per ottenere buoni risultati, di un contesto culturale particolare è, altresì, indubbio l’esordio positivo dell’esperienza bancaria islamica sia per il recupero e l’utilizzazione a fini produttivi nel mondo musulmano di ingenti risorse finanziarie che altrimenti avrebbero preso differenti destinazioni, sia per le potenzialità future di una simile attività bancaria nell’ambito della riscoperta di una diversa modernità svincolata dall’influenza culturale occidentale.

    Forse qualcuno, in presenza dell’attuale crisi economica e finanziaria globale, potrebbe chiedersi se la finanza islamica possa rappresentare la soluzione e costituire un modo per uscire da questa situazione di malessere.

    Probabilmente, considerato l’ambito circoscritto del sistema bancario islamico, e che la crisi ha compromesso tutti i mercati del mondo (legati da vincoli molto stretti) e dunque anche quelli islamici, una maggiore diffusione delle banche di diritto islamico non ci avrebbe risparmiato questo periodo di grande difficoltà e incertezza economica.

    Credo, però, che il sistema finanziario globale abbia bisogno di un maggior adeguamento a standard etici condivisi, a regole morali che mirino al raggiungimento del bene comune attraverso una saggia gestione dell’economia e che i mercati debbano essere guidati dai valori e dalla responsabilità delle persone. Questo, forse, ci avrebbe risparmiato una crisi di queste proporzioni.

    Fabrizio Martalò, bancario, svolge la sua attività presso l’Ufficio Estero-Merci della Banca Sella Sud Arditi Galati a Lecce; è uno studioso della lingua e cultura araba, e del sistema bancario islamico

  3. fabrizio martalo ha detto:

    Da qualche anno a questa parte, noi occidentali abbiamo sentito ripetere spesso, attraverso i mass media, che una delle prescrizioni in campo economico del Corano, il Libro sacro che contiene tutte le norme che regolano la vita di ogni musulmano, è quella che vieta categoricamente il pagamento di un tasso di interesse e proibisce di richiedere la restituzione di una somma maggiore di quella prestata. Pertanto, qualsiasi pagamento che è superiore alla quantità di denaro data in prestito è riba, cioè usura. Come recita infatti il Corano “Quel che voi prestate a riba perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio. Ma quello che date in elemosina, bramosi del Volto di Dio, quello vi sarà raddoppiato” (Corano XXX,39). Il termine riba, individua piuttosto un principio di morale e di etica sociale a garanzia dell’equità delle operazioni commerciali, prevenendo ogni forma di sfruttamento e a difesa dei valori di solidarietà a cui si dovrebbe ispirare la società islamica.

    La moltiplicazione e l’espansione delle banche islamiche, fenomeno qualitativamente e quantitativamente determinante della finanza islamica, ha assunto una dimensione tale in questi ultimi anni da far orientare l’interesse e l’attenzione degli operatori dell’economia e della finanza occidentale verso questa realtà che opera a livello mondiale con un patrimonio stimato in oltre 750 miliardi di dollari, ad un tasso di crescita compreso tra il 10 e il 15 per cento. Il termine “banca islamica” non si riferisce all’Istituto di credito con sede nei Paesi islamici né alle loro filiali operanti all’estero, ma solo alla banca che nello svolgimento della sua attività applica rigorosamente i precetti e i dettami contenuti nella Shari’a, la via maestra che porta alla salvezza, rivelata da Dio al Profeta Muhammad e che attualmente regola il vivere quotidiano di 1,6 miliardi di musulmani nel mondo.

    Da un punto di vista operativo, questo sistema bancario si basa sulla proibizione del tasso di interesse e sulla condivisione del rischio nei rapporti tra banca, destinatario del finanziamento e risparmiatori. Con l’applicazione del metodo del profit and loss sharing (compartecipazione nei profitti e nelle perdite), la remunerazione (o assenza di remunerazione) dei depositi bancari e degli investimenti operativi della banca non è legata alla dimensione temporale, come nel caso delle banche occidentali, la cui attività di intermediazione dei capitali si basa sul pagamento di un tasso di interesse, ma è determinata in relazione agli utili (o alle perdite) dell’operazione finanziata, secondo una percentuale di partecipazione stabilita nel contratto.

    Il diverso approccio alla concessione del credito porta a valutare in maniera diversa la richiesta di affidamento. Per la banca occidentale, essendo prioritaria la restituzione del prestito, la cosa fondamentale sono le garanzie offerte dall’azienda e dai soci. Particolare attenzione viene data alla solidità patrimoniale dell’azienda e alla capacità di produrre reddito. La banca di diritto islamico, al contrario, concentrerà la sua attenzione sul progetto imprenditoriale, oggetto del finanziamento, e lo valuterà in funzione della sua possibilità di produrre utili.

    L’ Islamic banking ha indicato un nuovo modo di concepire il rapporto tra attività economica e religione. La sua “materia prima” non è tanto il denaro, ma una nuova rete di rapporti, collaborazioni, partecipazioni il cui obiettivo non è la massimizzazione speculativa dei dividendi quanto l’indicazione di un nuovo approccio nella gestione degli affari, in cui potrebbero trovare spazio motivazioni etiche e di sviluppo sostenibile in considerazione del fatto che Dio ha creato tutte le cose nella quantità necessaria per soddisfare i bisogni dell’umanità, e la scarsità è frutto del comportamento umano che è guidato dal desiderio di accumulazione.

    Inoltre, la modalità, invalsa nella concezione di banca occidentale, di fissare in anticipo un determinato tasso di interesse, viene considerata una precauzione nei confronti degli imprevisti del futuro e un tentativo di sottrarsi alla supremazia della volontà divina.

    Nell’era della globalizzazione del sistema bancario, il rispetto di questa proibizione è assicurato da un consiglio di sorveglianza composto da accademici ed esperti di diritto islamico, denominato Shari’a Board che è responsabile di certificare la coerenza dell’operatività della banca, dei servizi e prodotti offerti – valutandone sia la natura giuridica che l’impatto sociale – con i precetti islamici. Esso, quando lo ritiene opportuno, esclude dal bilancio le operazioni coinvolte dall’applicazione del tasso di interesse e ne devolve gli utili in beneficienza o ad organizzazioni umanitarie. Questo consiglio di esperti, con il perfezionamento degli strumenti finanziari verificatosi nel corso degli ultimi anni, è continuamente esposto alle richieste dei consigli di amministrazione delle banche che adottano il diritto islamico in merito alla possibilità di avvalersi delle stesse opportunità di investimento e di utilizzare le tecniche finanziarie delle banche occidentali. Lo Shari’a Board definisce, quindi, le condizioni che devono rispettare gli accordi e i contratti sottoscritti dalla banca e i criteri con cui selezionano le società nelle quali investire. Allo stesso organo di esperti compete fornire pareri legali (fatawa) ai quali la banca deve sottostare, ed emettere un giudizio complessivo sull’andamento finanziario annuale della banca. E’ un organismo che svolge sia compiti di controllo interno sia funzioni di garanzia a tutela dei soci in merito al rispetto dei criteri di eticità propri dell’attività della banca islamica, dal momento che gli investitori non sono in grado di poter effettuare nessun controllo di questo tipo.

    Sono diversi i servizi e gli strumenti finanziari, caratterizzati da una struttura più complessa e sofisticata, che trovano posto nel sistema bancario islamico, sui quali lo Shari’a Board di ogni banca deve esprimere un giudizio di liceità, e tra questi rientrano la Lettera di Credito e la Lettera di Garanzia.

    La Lettera di Credito può essere emessa dalla banca su richiesta del suo cliente non solo esigendo da quest’ultimo il deposito della somma equivalente al valore complessivo delle merci importate ma anche in base al principio della partecipazione agli utili e del murabaha.

    Nel primo caso la banca considera l’emissione della Lettera di Credito come una forma di finanziamento, per cui parteciperà ai rischi dell’operazione e agli utili ottenuti secondo percentuali prestabilite. Nel secondo caso, invece, la banca importa su richiesta del cliente i beni pagando la sua corrispondente estera con disponibilità proprie e successivamente rivende le merci al suo cliente ad un prezzo uguale al costo dei beni più un margine di guadagno.

    Le banche di diritto islamico possono emettere una Lettera di Garanzia e il compenso può essere rappresentato dal pagamento di una commissione oppure dal beneficio del deposito gratuito per tutto il periodo della garanzia o ancora, considerandola una forma di investimento come la Lettera di Credito, da una quota degli utili dell’operazione per la quale la lettera era stata concessa.

    La legge islamica vieta anche ogni contratto che si basi sulla speculazione e sull’incertezza. Pertanto, sono vietati strumenti molto utilizzati dalla finanza occidentale come i futures ( l’impegno ad acquistare o vendere un determinato bene ad una scadenza e ad un determinato prezzo), le opzioni ( con le quali l’investitore si riserva la possibilità di eseguire o no un contratto ad una data stabilita) e gli strumenti derivati ( contratti molto rischiosi basati sull’acquisto o vendita di futures, opzioni, titoli o tassi di interessi).

    Il divieto di riba si estende anche all’investimento in titoli di stato e in obbligazioni societarie i cui rendimenti sono basati sul tasso di interesse.

    L’emissione di sukuk (in arabo titoli di debito) consente di beneficiare degli stessi vantaggi collegati all’obbligazione di tipo occidentale, e cioè il pagamento periodico di cedole e il rimborso del capitale a scadenza.

    Nell’obbligazione islamica, i fondi raccolti mediante l’emissione dei certificati vengono utilizzati per finanziare progetti shari’a compliant. Il rendimento è dato dai profitti che genera nel tempo il progetto, per es. una società emette dei certificati per finanziare la costruzione di una autostrada, chi ha acquistato tali titoli è remunerato con gli utili dei pedaggi.

    Nella finanza islamica vi è una stretta relazione tra strumenti finanziari e attività reali sottostanti. Ne deriva che mentre il pagamento della cedola di un’obbligazione di tipo occidentale non dipende dall’andamento degli asset sottostanti, il rendimento del sukuk è invece strettamente legato a tale andamento.

    Per molto tempo il contratto di assicurazione è stato considerato dal mondo musulmano haram, proibito, in quanto tutti gli avvenimenti della vita, compresa la morte di un familiare, sono espressione della libera volontà divina e pertanto da non ostacolare ed accettare consapevolmente. La legge islamica, come abbiamo visto, stabilisce il divieto di maysir (speculazione) e gharar (incertezza), entrambe ravvisabili nell’attività assicurativa convenzionale. Infatti, l’assicuratore, prefigurando un comportamento speculativo, si augura che l’ammontare dei premi incassati superi quello dei sinistri pagati, generando così un surplus. D’altro canto, l’assicurato versa un premio per garantirsi di un beneficio incerto, in quanto può non concretizzarsi ( se l’evento dannoso non si verifica ), o che supera di molto il premio pagato ( nel caso invece si verifichi il sinistro ).

    Il diritto commerciale islamico ha così elaborato l’assicurazione islamica ( takaful ), assimilabile ad un contratto di mutuo soccorso dove l’elemento di solidarietà prevale sulla componente speculativa, nella quale gli assicurati cooperano tra loro alla creazione di un fondo da cui attingere per pagare eventuali indennizzi a vantaggio di coloro che devono affrontare le conseguenze di un sinistro.

    L’Islam, comunque, se da un lato esorta il fedele musulmano ad accettare gli eventi sfortunati della vita, dall’altro non proibisce categoricamente di proteggersi dagli avvenimenti avversi e consente di fronteggiare le loro conseguenze negative. A questo proposito è illuminante un racconto riportato nella Sunna del Profeta, nel quale Muhammad consiglia ad un beduino, che aveva lasciato slegato il suo cammello perché aveva fiducia in Allah, di legare il suo cammello e poi di avere fede in Dio.

    Gli esperti di giurisprudenza islamica, comunque, benché ritengano il contratto di assicurazione pienamente lecito ed esente dal pericolo di incorrere nel maysir, in quanto ha finalità solo di reciproca solidarietà e non speculativa, ha ravvisato ugualmente la non compatibilità del contratto perché persiste l’incertezza (gharar ) del verificarsi dell’evento dannoso e il ricorso all’indennizzo.

    Grazie all’intervento della scuola malikita, che ha introdotto il termine al-tabarru (donazione), la questione è stata risolta positivamente in quanto è stato possibile configurare il versamento del premio dell’assicurato come una donazione al fondo comune e l’indennizzo come un atto di donazione da parte degli altri assicurati a favore di chi ha subito il danno. La fattispecie del gharar , in questo caso, non si realizza perché siamo in presenza di contratti gratuiti.

    Nonostante si possa pensare che a volte la superiorità morale di norme sacre non vada d’accordo con i criteri di efficienza e convenienza economica e che un’attività bancaria basata sul principio della partecipazione agli utili ha bisogno, per ottenere buoni risultati, di un contesto culturale particolare è, altresì, indubbio l’esordio positivo dell’esperienza bancaria islamica sia per il recupero e l’utilizzazione a fini produttivi nel mondo musulmano di ingenti risorse finanziarie che altrimenti avrebbero preso differenti destinazioni, sia per le potenzialità future di una simile attività bancaria nell’ambito della riscoperta di una diversa modernità svincolata dall’influenza culturale occidentale.

    Forse qualcuno, in presenza dell’attuale crisi economica e finanziaria globale, potrebbe chiedersi se la finanza islamica possa rappresentare la soluzione e costituire un modo per uscire da questa situazione di malessere.

    Probabilmente, considerato l’ambito circoscritto del sistema bancario islamico, e che la crisi ha compromesso tutti i mercati del mondo (legati da vincoli molto stretti) e dunque anche quelli islamici, una maggiore diffusione delle banche di diritto islamico non ci avrebbe risparmiato questo periodo di grande difficoltà e incertezza economica.

    Credo, però, che il sistema finanziario globale abbia bisogno di un maggior adeguamento a standard etici condivisi, a regole morali che mirino al raggiungimento del bene comune attraverso una saggia gestione dell’economia e che i mercati debbano essere guidati dai valori e dalla responsabilità delle persone. Questo, forse, ci avrebbe risparmiato una crisi di queste proporzioni.

    Fabrizio Martalò, bancario, svolge la sua attività presso l’Ufficio Estero-Merci della Banca Sella Sud Arditi Galati a Lecce; è uno studioso della lingua e cultura araba, e del sistema bancario islamico

  4. Guglielmo Rinaldini ha detto:

    Ma che bella idea! Peccato che serva a finanziare il terrorismo islamico e che si sviluppi senza alcun controllo antiriciclaggio.
    E poi scusate, ma quali interessi dovrebbero chiedere: semmai dovrebbero darne dato che con Halawa dispongono di continuo di somme enormi.

  5. faberex ha detto:

    citaz.I colossi bancari italiani seguono altri principi.

    quali? quelli che ci stanno riducendo sul lastrico

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