Breve storia di un agente precario di recupero crediti






Ricordo, e parlo di un paio di anni fa, la mia collega Samantha: lavoravamo alla stessa società di recupero crediti e nell’open space di quel lager di “aguzzini del debito” lei occupava la postazione accanto alla mia. Sono stato nella vita sempre persona discreta. Ma in quel contesto era difficile, se non impossibile, non ascoltare le conversazioni degli altri operatori.

Samantha esordiva sempre così: “Buongiorno, sono l’avvocato Loi, e la chiamo in riferimento a quell’insoluto ecc.”. Inutile aggiungere che non aveva mai conseguito alcuna laurea.

Era intraprendente Samantha e piena di inventiva. Sapeva destreggiarsi abilmente con pagine bianche e gialle, allora. Oggi, penso, non avrà alcun problema ad utilizzare Google Earth.

Samantha si sentiva una Miriam Ponzi. Individuava l’ultimo indirizzo conosciuto di Pippo – questo il nome convenzionale delle nostra vittima designata – e poi faceva una ricerca delle utenze ubicate nella stessa strada del debitore. E cominciava a chiamare.

Le scuse erano le più fantasiose: “… siamo uno studio legale a cui il signor Pippo ha affidato una vertenza di lavoro. Abbiamo estrema urgenza di comunicargli alcuni sviluppi, ma al telefono non riusciamo a contattarlo. Sa per caso come possiamo fare a rintracciarlo? Se vuole può avvertirlo lei, le lascio i miei recapiti

Ma non c’era alcun bisogno di fornire i recapiti. L’interlocutore era già psicologicamente predisposto a dare tutto l’aiuto possibile a Pippo. E che diamine, se non ci diamo una mano tra noi.

Eppoi il signor Pippo era così gentile ed affabile, ci mancherebbe pure che non lo aiutassimo. “Sì avvocato Loi, la persona che cerca si è trasferita qui”. Oppure “Avvocato Loi, a me ha lasciato questo numero, per ogni evenienza. Nel caso arrivasse, che ne so, una raccomandata urgente. Provi a chiamarlo.” Ed ancora “No avvocato Loi, non so dove possa trovarsi adesso il signor Pippo, però conosco la sorella, una bravissima persona. Se vuole le do il numero di telefono …

Ed era fatta.

Esilarante poi come Samantha, subdolamente perversa, giocasse al gatto e al topo non appena riusciva a venire in contatto con un parente del debitore.

Ad esempio la mamma.

Signora buongiorno sono l’avvocato Loi, dello studio legale Loi & Associati ed avrei bisogno di parlare con il signor Pippo, è una questione di estrema urgenza”.

Dica pure a me, di cosa si tratta? Io sono la madre

Vede signora, è una faccenda delicata …

Per favore avvocato, non mi faccia stare in ansia, cosa ha di nuovo combinato quel discolo di mio figlio?

Cara signora stia tranquilla, non è accaduto nulla di grave, ma sa, sono vincolata al segreto professionale e poi adesso, con questa benedetta privacy, potrei anche avere dei guai con l’Ordine. Ho bisogno di conferire personalmente con suo figlio!

No avvocato, non abbia alcun timore. Manterrò la bocca cucita, ma per carità, mi dica cosa è successo

Ebbene, se proprio insiste. Vede, abbiamo un mandato del creditore per procedere giudizialmente nei confronti di suo figlio in relazione al debito di tot euro contratto alcuni anni fa. Io mi rendo conto della crisi del momento, queste sono cose che possono capitare a tutti e volevo capire, prima di inoltrare al Tribunale la richiesta di un decreto ingiuntivo, se suo figlio avesse, per caso, intenzione di giungere ad un concordato, con una composizione bonaria del contenzioso attraverso la sottoscrizione di un piano di rientro a saldo e stralcio

Oddio, Tribunale, decreto ingiuntivo, lo sapevo che finiva male. Una vita sregolata quella di mio figlio, caro avvocato. Ma noi siamo brava gente, l’abbiamo educato con amore e non gli abbiamo mai fatto mancare nulla. Suo padre, buonanima, mai un debito in tutta la sua vita. Se fosse ancora vivo gli si spezzerebbe il cuore a saperlo in galera per debiti

Adesso non esageri signora, per debiti suo figlio non andrà in galera. Certo la reputazione, il merito creditizio ne risentiranno. Se un domani dovesse servirgli un mutuo per comprare casa e mettere su famiglia, non troverà nessuno disposto a concederglielo

“Avvocato io ho una modesta pensione, ma ho messo qualche risparmio da parte. Soldi che avevo intenzione di donare a Pippo, sa per vederlo finalmente sistemato. Magari, se ci fa uno sconto, potrei aiutare mio figlio a saldare il debito. Se mi dà un po’ di tempo parlo io con lui e le prometto che troveremo un accordo. Ma abbia compassione di una povera madre, lasci stare decreti ingiuntivi, giudici e tribunali. Glielo chiedo come può chiederlo una madre alla propria figlia …”

Bingo. Dopo aver terminato la conversazione era raggiante Samantha. Per qualche tempo poteva stare tranquilla. Il suo magro stipendio mensile sarebbe stato rimpinguato dalle commissioni derivanti dal piano di rientro a saldo e stralcio appena concluso.

Già, perché il destino di Pippo era ormai segnato. Le pressioni psicologiche della madre, le sue lacrime, il ricordo di papà buonanima, l’onore familiare macchiato dall’infamia di quel debito avrebbero costretto Pippo a sottoscrivere un piano di rientro a saldo e stralcio, anche se non ne avesse avuto alcuna intenzione. Magari solo per non assumersi la responsabilità di vedere quella vecchietta morire di crepacuore.

Domandiamoci. Era davvero un individuo così spregevole Samantha?

Alcuni anni fa Samantha aveva lasciato la propria città e si era trasferita nella capitale in cerca di lavoro. Il primo lo aveva trovato sfogliando le pagine di Porta Portese. Il solito call center da 600 euro al mese. Ma le dissero che doveva aprire partita IVA, se voleva quel posto.

E Samantha aveva aperto partita IVA. Si accorse solo dopo che per gestire tutti gli adempimenti previsti dalla legge aveva bisogno di un fiscalista. Anche se aveva adottato il così detto “Regime semplificato ed agevolato per i contribuenti minimi”. Il più economico fra i professionisti che aveva contattato, un ragazzino appena laureato, gli aveva chiesto 100 euro a trimestre per la tenuta della contabilità. E lei aveva accettato.

Alla fine del mese le chiesero di emettere fattura. Le dissero anche che se voleva, poteva richiedere il 4% di INPS come contributo obbligatorio (la rivalsa) dovuto dalla società. Ma forse era meglio, le suggerirono, lasciar perdere. Tanto la pensione non l’avrebbe mai vista ed a fronte di quel 4% a carico della società, lei avrebbe dovuto sborsare il 27% dell’importo lordo, sempre da destinare all’INPS. “Son mica scema” pensò Samantha e senza saperlo cominciò ad essere una debitrice.

L’avrebbero pizzicata da lì a qualche anno, dopo un banale incrocio di dati risultanti dalla dichiarazione 770 della società e la sua dichiarazione dei redditi. Doveva ben 18 mila euro di contributi pensionistici evasi (escluse sanzioni ed interessi). E, cosa stranissima, alla sua società nessuno aveva richiesto nulla, neanche quel 4% sulla fatturazione lorda che pure il datore di lavoro aveva risparmiato (o evaso?).

Boh, stranezze e conseguenze di leggi da ascrivere ai grandi (e profumatamente pagati) consulenti del Ministero del Lavoro, come Massimo D’Antona e Marco Biagi, padri indiscussi del precariato legalizzato. Sintesi mirabile, i due, dell’approccio bipartisan ai delicati temi dell’occupazione e della previdenza sociale.

A Roma aveva anche trovato casa Samantha. Un tugurio ammobiliato (si fa per dire) di 20 metri quadri nell’estrema periferia Nord della capitale, in un edificio abusivo mai condonato, fra extra comunitari clandestini e cittadini emarginati. Ma la “casa” aveva i suoi pregi e comfort extra lusso: c’era una presa di corrente a cui attaccare la stufa o altri elettrodomestici ad elevato assorbimento di energia. I consumi erano assolutamente gratuiti, dal momento che quella presa era alimentata da un attacco abusivo al traliccio Enel più vicino.

Quattrocento euro al mese per quel buco senza contratto di affitto. Dunque, senza alcuna possibilità di scaricare le spese. Forse solo per quello era valsa la pena di aderire al “forfettone”.

Ma non era tutte rose e fiori la “phone collection” di Samantha.

Quante telefonate “inbound” pervenivano da sedicenti studi legali che minacciavano ricorsi al Garante della Privacy per la troppo disinvolta attività investigativa esplicata attraverso contatti telefonici del terzo tipo, con mamme, padri, sorelle, fratelli, nonni, conoscenti ed amici, nonché datori di lavoro del debitore di turno. Comportamenti ritenuti, giustamente, gravemente lesivi della dignità del debitore.

Erano veramente degli avvocati gli interlocutori? Chissà, forse, come dice il proverbio, chi di spada ferisce, di spada perisce …

Talvolta sortivano effetto anche le segnalazioni all’UNIREC del debitore vessato per violazione del codice deontologico obbligatoriamente sottoscritto dagli agenti esattoriali delle società affiliate. In quelle occasioni Samantha veniva pesantemente redarguita dal team manager e minacciata di licenziamento alla successiva infrazione.

In una circostanza Samantha era giunta molto vicina alla denuncia penale. C’era stato un debitore esasperato che aveva presentato un esposto querela alla Procura della Repubblica per minacce ed estorsione. Il PM aveva aperto un fascicolo a carico della società di recupero crediti ed avevamo ricevuto anche la visita, in sede, di alcuni agenti delle forze di polizia giudiziaria che conducevano le indagini. Il tutto si concluse con una remissione della querela da parte del debitore. Ma è anche vero che da quel giorno non vidi mai più la pratica di quel debitore sulla scrivania di Samantha. In effetti il suo nome scomparve, per incanto, anche dagli archivi elettronici del nostro sistema informativo.

Ma, nulla era più dirompente delle contestazioni puntuali inviate, per raccomandata, dal debitore. Vedevo Samantha sbiancare in viso mentre fissava quella missiva. Non c’era alcun bisogno di leggere per capire. Ne conoscevo già il contenuto.

“Spettabile società,

scrivo in riferimento alla vostra comunicazione del dicembre ultimo scorso, inerente il recupero di un presunto credito da voi vantato nei miei confronti.

Dichiaro fin d’ora la mia piena disponibilità ad onorare tutte le eventuali obbligazioni assunte.

Pertanto, allo scopo di consentire allo scrivente di rientrare, al più presto possibile, dalla esposizione debitoria che voi asserite essere stata maturata, vi invito ad inviare all’indirizzo in epigrafe ed a mie spese, la seguente documentazione:

1. lettera di cessione del credito;
2. estratto conto cronologico;

Distinti saluti”

Non c’era nessuna lettera di cessione del credito riguardante quel debitore. Forse poteva trovarsi in archivio, ma sarebbero occorsi anni per rintracciarla. Inoltre, quella pratica era già stata lavorata da due società di recupero crediti prima di finire a Samantha. Un bel puzzle ricostruire la filiera dei passaggi dal creditore originario a noi. “Mission impossible” o quasi.

Eppoi, l’estratto conto cronologico. Come dimostrare al debitore con quale tasso di interesse legale e moratorio e con quali spese di esazione era stato gravato il capitale iniziale? Di solito gli interessi li applicavamo “a peso” e le spese “a corpo”, spesso oltrepassando allegramente i limiti oltre i quali ci avrebbero sicuramente denunciati per usura. E non sapevamo nemmeno cosa avessero fatto gli esattori precedenti.

Niente da fare, per questa volta nessuna commissione. E vedevi Samantha, affranta e sconsolata, passare un elastico intorno alla pratica e riporla fra quelle su cui campeggiava una classificazione che un agente di recupero crediti si augura, inutilmente, di non voler mai vedere: “Crediti inesigibili”.

11 Settembre 2011 - Simone di Saintjust


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