Piccoli negozianti contro i giganti delle vendite online – Se vuoi provare i vestiti devi pagare


Tutela consumatore - acquisti online e in negozio





Gestisco un piccolo negozio di abbigliamento nella periferia romana: negli ultimi tempi sono aumentati a dismisura i casi in cui la clientela viene nel mio store esclusivamente per provare i vestisti, che in seguito acquista online a minor prezzo.

Così facendo, si vanno ad accrescere gli introiti dei giganti dell’e-commerce, penalizzando noi commercianti.

Come possiamo difenderci?

Quando si acquista online, l’unico cruccio del consumatore è quello di non poter sapere in tempo reale se la merce acquista, parlando di abbigliamento, calzi a pennello: è così che si è sviluppata a macchia d’olio la pratica di provare gli abiti in negozi fisici e, successivamente, acquistarli sul web a prezzo inferiore.

Così, i negozianti, sempre più spazientiti, hanno dichiarato guerra ad Amazon e all’e-commerce in generale: in diversi negozi italiani, da poco tempo a questa parte, è vietato fare foto alla merce e se si vuol provare un abito, bisogna pagare.

Una pratica diffusa in molti punti vendita fisici italiani, con l’ultimo caso riportato da diverse testate riguardante una boutique nel centro di Sarzana (provincia della Spezia, Liguria) dove per provare un paio di scarpe bisogna pagare 10 euro.

Una tattica per fronteggiare le vendite online, preferite dai consumatori per l’acquisto di vestiti e accessori (su Amazon, Asos, Zalando e simili) o di merce hi-tech per questioni di comodità (rapida spedizione a casa, in molti casi gratuita) e spesso scontata rispetto ai negozi.

La scelta di molti negozianti italiani è direttamente derivata dal comportamento dei clienti che, una volta recatosi presso i negozi fisici, provano la merce per individuare la giusta taglia e successivamente acquistano online.

Una pratica tanto fastidiosa per i commercianti quanto abituale quella applicata dai consumatori: solo in Italia infatti è passati a un aumento degli acquisti online del 15% dal 2017, con in particolare il settore dell’abbigliamento che ha riscontrato un 21% in più del netto.

Il caso di Sarzana è solo uno dei tanti: spesso nei negozi infatti vengono applicate tariffe o esposte regole precise, come il divieto di fotografare la merce, a difesa delle stesse attività.

Il negozio ligure ha applicato queste regola scalando la cosiddetta caparra di 10 euro dal prezzo dell’articolo se acquistato.

In caso contrario, i soldi della prova verranno scalati con un prossimo ed eventuale articolo comprato.

La strategia attuata risulta del tutto applicabile: non esiste, infatti, una legge che autorizzi questo tipo di pratica ma non esiste nemmeno una che la vieti.

Ma questo modus operandi è giusto o sbagliato?

Perlopiù, di tratta del frutto dei cambiamenti nelle abitudini dei consumatori.

Il commerciante deve però necessariamente esporre il cartello o spiegare verbalmente che per la consulenza all’acquisto deve essere versata una cifra precisa.

Gli esercenti sono spesso presi d’assalto dai clienti che chiedono di provare decine di paia di scarpe senza poi comprarne una.

Una guerra destinata ad andare avanti ancora per molto tempo, con Amazon che di recente è sotto indagine Antitrust per presunto abuso di posizione dominante.

14 Maggio 2019 · Giovanni Napoletano


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