Prestito e perdita del lavoro


Mi pare si sia poco da consigliare, essendo la strada da percorrere obbligata dalla condizione di pratica nullatenenza in cui lei versa.





Nel marzo 2010, avevo un contratto a tempo indeterminato e convinto dalla mia buona situazione economica personale, mi sono fatto forza e ho deciso di acquistare un’auto nuova per il valore di euro 21 mila e 500 con una finanziaria.

Dopo circa un anno, ho deciso di fare un consolidamento debiti con la mia banca di allora in quanto, mi chiedevano meno interessi, e fin qui tutto ok.

Nel 2013, a causa di una riduzione dell’orario di lavoro (da fulltime a parttime) e l’imminente nascita di mio figlio, ho deciso di ridurre la rata a circa la metà da euro 430 circa a 240 euro (senza assicurazione sul credito, mi sentivo “stupidamente” sicuro del mio contratto) prolungando il finanziamento fino al 2018.

La crisi ha colpito anche l’azienda presso cui lavoravo e nel dicembre 2013 sono stato licenziato per giusta causa obbiettiva.

Non mi sono dato per vinto e la fortuna mi ha assistito, ho trovato immediatamente un’altro impiego il 14 gennaio 2014, con contratto a termine fino al 28 aprile 2014.

Fatto sta, che alla scadenza sono stato lasciato a casa, ma non mi ero scoraggiato in quanto ho subito cercato altro impiego e mi sentivo confortato in quanto ho goduto dell’indennità di disoccupazione fino a dicembre 2014.

Da gennaio 2015 per far fronte alle spese personali, ho stupidamente scelto di utilizzare la carta di credito collegata al mio conto, e a causa della situazione ho deciso di vendere la mia moto per monetizzare, ma, tra carta di credito e finanziamento, mi sono di nuovo ritrovato a “utilizzare” il fido del conto corrente.

Non avendo tutt’ora trovato impiego, e non avendo possibilità di versare liquidità sul conto, ho realmente il terrore di cosa mi accadrà.

Il finanziamento è a me intestato, con garante mia madre, e purtroppo i miei familiari non possono far fronte alle mie insolvenze fino almeno ottobre 2015, mese in cui mia madre prenderà la liquidazione in seguito al suo pensionamento.

Ho provato a contattare la finanziaria che ha erogato il credito chiedendo almeno una temporanea sospensione delle rate, ma mi è sembrato di parlare con un muro.

Ho pure pensato di vendere la macchina (attualmente incidentata) ma il suo valore non andrebbe assolutamente a coprire il debito residuo verso la finanziaria (circa 8000€), e il fido della banca, attualmente utilizzato per circa 450€.

Non so più come venirne a capo, spero di essere stato abbastanza esaustivo nel raccontare la mia sventura, e spero realmente che possiate aiutarmi e/o consigliarmi.

Mi pare si sia poco da consigliare, essendo la strada da percorrere obbligata dalla condizione di pratica nullatenenza in cui lei versa. Non ci sono opzioni diverse rispetto a quella di dichiarare unilateralmente il default, ovvero non pagare più.

Esiste solo un problema sul quale cominciare a prendere consapevolezza e adottare, ove possibile, le necessarie contromisure: sua madre, in qualità di garante nel contratto di finanziamento, e come tale obbligata al rimborso in caso di insolvenza del debitore principale (lei che ci scrive), potrebbe subire il prelievo del 20% della quota pignorabile della pensione (importo percepito diminuito di circa 500 euro).

Inoltre, sua madre farebbe bene a non lasciare sul proprio conto corrente la liquidazione, quando sarà corrisposta, perchè quella potrebbe essere pignorata in toto: la somma andrà trasferita immediatamente (intendo non più di qualche ora dopo l’avvenuto versamento) su un conto corrente intestato ad un terzo fiduciario non debitore, mantenendo magari, su quel rapporto, una delega ad operare e disporre. Anzi, sarebbe ottimale bonificare subito, su conto di terzi, anche le attuali disponibilità.

Sia chiaro: non è detto che il creditore si attivi per pignorare pensione e conto corrente, ma prevenire, come tutti sappiamo, è meglio che curare.

Spesso la finanziaria preferisce mettere a perdita il credito insoluto, beneficiare delle minusvalenze dal punto di vista fiscale e cedere a società di recupero i propri diritti.

Le società di recupero crediti, di solito, non sono attrezzate per azioni giudiziali. Preferiscono adottare la tecnica di esasperare il debitore con telefonate continue di sollecito e con invadenti visite domiciliari. Un avvocato costa e le spese di giudizio vanno anticipate, mentre un operatore di call center lo si trova anche a non più di un paio di euro l’ora ed in un’ora può riuscire a contattare e a rompere l’anima anche a 60 debitori.

Quest’ultimo è, paradossalmente, l’aspetto meno preoccupante: con una buona conoscenza dei diritti del debitore e delle normative che tutelano la sua privacy (che possono essere acquisiti nelle sezioni appositamente allestite in questo blog) si riesce a tener testa anche al più agguerrito operatore di call center e al più invadente funzionario addetto alle visite domiciliari (peraltro basta chiudere il telefono senza lasciarli parlare, sbattere la porta in faccia a chi si presenta a casa e denunciare all’autorità giudiziaria eventuali contatti presso il datore di lavoro, familiari o amici del debitore).

11 Marzo 2015 · Ludmilla Karadzic


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