Reddito di cittadinanza, assegno sociale e redditi virtuali da fabbricato: il problema di separati e divorziati colpevoli di essere proprietari dell’immobile assegnato dal giudice all’altro coniuge


Pensione sociale o assegno sociale, prestito vitalizio ipotecario, reddito di cittadinanza e pensione di cittadinanza





Sono separato da mia moglie e proprietario del 50% della casa assegnata in sede di separazione al coniuge affidatario dei miei 3 figli.

I figli, ormai maggiorenni ma economicamente non autosufficienti, risiedono ancora in quella che fu la casa familiare. Non percepisco redditi da lavoro e vivo come ospite presso un amico non potendo permettermi di poter pagare un affitto.

Ho da poco compiuto 67 anni e ho scoperto, con grave disappunto, di non poter accedere all’assegno sociale in virtù del reddito da fabbricato che viene virtualmente generato dalla proprietà del 50% di una casa di cui non posso disporre in alcun modo.

Ho chiesto spiegazioni al CAF dove mi hanno confermato che per accedere all’assegno sociale viene calcolato il reddito virtuale da fabbricato con esclusione di quello relativo alla casa di abitazione.

Trovo la cosa iniqua ed aberrante: io non posso andare ad abitare nella mia mezza casa di proprietà, non per mia scelta, ma per la semplice ragione che un giudice ha deciso di assegnarla a mia moglie.

Per lo stesso motivo, l’anno scorso, pur avendo conseguito nel 2017 reddito da lavoro zero ed aver registrato uno scoperto di conto corrente che risale ai tempi, non ho potuto nemmeno accedere al reddito di cittadinanza dal momento che l’ISEE assegna un valore IMU della metà del fabbricato di mia proprietà superiore ai 30 mila euro.

Ora, se il richiedente abita nella casa di proprietà, fruisce di una franchigia di 52 mila euro, mentre io, essendo costretto a vivere altrove e non potendo avvantaggiarmi della franchigia di legge, risulto proprietario di immobile (seconda casa) con valore superiore ai 30 mila euro e, come tale, escluso anche dal reddito di cittadinanza.

Mi chiedo: ma è possibile in questo maledetto paese essere penalizzato per la proprietà di mezza casa che però non posso neanche abitare?

Se qualcuno millanta di aver abolito la povertà ha certamente dimenticato di tener conto di migliaia di separati che, come me, pur essendo proprietari di immobile (o mezzo immobile, come nel mio caso), si son visti negare qualsiasi agevolazione di sostegno al reddito.

Ho preso in considerazione anche l’ipotesi di liberarmi del peso di questa proprietà penalizzante con una donazione ai figli, ma poi ho pensato che un domani (nella vita non si sa mai) potrei aver bisogno di avere a disposizione un tetto sotto il quale riparare in caso di pioggia e i miei figli, ormai proprietari della mezza casa, potrebbero anche decidere di negarmi il rientro e, magari, consigliarmi il ricovero in qualche ospizio a basso costo.

Cosa mi consigliate di fare?

Avendo espresso la volontà di non alienare, in vendita o donazione, la comproprietà per poter comunque utilizzare in futuro l’immobile anche se solo per il 50% (immagino che la casa sia comodamente divisibile in due unità abitative con modica spesa) le opzioni che ha a disposizione sono sostanzialmente due: la cessione con rendita vitalizia a terzi o la donazione con riserva di nuda proprietà (quindi la donazione di usufrutto) ai figli.

La donazione ai figli con riserva del diritto di abitazione è da scartare perché tale diritto si estinguerebbe se il beneficiario, come nel caso esposto, non potesse, al momento, occupare l’immobile (la metà dell’immobile, nella fattispecie).

Il contratto di rendita vitalizia è regolato dall’articolo 1872 del codice civile e può essere perfezionato a titolo oneroso, proprio mediante alienazione di un bene immobile. Lo svantaggio di tale soluzione è rappresentata, nella situazione a commento, che difficilmente una società operante nel settore sottoscriverebbe un contratto di rendita vitalizia dietro cessione del 50% di un immobile indiviso, a meno che, prima di concludere la transazione, l’unità abitativa da cedere non venisse ristrutturata e ceduta come autonoma ed indipendente dall’altro 50% a seguito di frazionamento, e risoluzione esclusiva della comproprietà. Naturalmente, i figli superstiti – e questo è un altro elemento a sfavore della soluzione prospettata – ricevuta eventualmente in eredità l’unità abitativa, sarebbero obbligati a riscattare l’immobile dietro corrispettivo, oppure rinunciarvi.

Senza contare il fatto che poi la rendita vitalizia sarebbe ostativa, o comporterebbe una sensibile riduzione,
dell’assegno sociale.

Simile alla rendita vitalizia è il prestito vitalizio ipotecario ai sensi della normativa introdotta e regolata dalla legge 44/2015. Al posto della rendita vitalizia si ottiene un prestito una tantum, che il beneficiario gestisce come meglio crede. In pratica, e per farla molto breve, il prestito ipotecario vitalizio è strutturato in modo da offrire al mutuatario la disponibilità di una certa liquidità con un termine di adempimento dell’obbligo di rimborsarla coincidente normalmente con la sua morte e con la possibilità per i suoi eredi di recuperare l’immobile ipotecato in garanzia rimborsando il credito (gravato dagli interessi dovuti, anche anatocistici sull’anno) alla banca. Stessi svantaggi, dunque, della rendita vitalizia e uguale necessita di una preventiva trasformazione della quota di comproprietà di un immobile in esclusiva proprietà di una unità abitativa indipendente.

Più semplice e meglio rispondente alle esigenze prospettate dal lettore è la donazione, ai figli (o anche al coniuge separato comproprietario), dell’usufrutto sulla quota con riserva di nuda comproprietà. In questo scenario non sarà necessario metter mano a lavori di ristrutturazione, i figli eredi non dovranno riscattare alcunché alla morte del padre, quest’ultimo potrà beneficiare dell’assegno sociale dal momento che la nuda comproprietà non genera reddito da fabbricato.

Da notare pure che i figli, abitando nell’immobile (sulla cui metà hanno diritto di usufrutto) non avranno conseguenze penalizzanti in termini di reddito ISEE per l’accesso ad eventuali prestazioni sociali a cui volessero concorrere.

Per finire, il possesso della nuda comproprietà e la minaccia di convertire questo diritto reale in un corrispettivo da alienazione a prezzo anche vile, costituirà un valido deterrente acchè un domani, in caso di bisogno, l’ingratitudine potesse far accarezzare ai figli o al coniuge separato, l’idea di negare ospitalità al padre privo di dimora.

6 Febbraio 2020 · Genny Manfredi


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